Rai Pubblicità e Vigilanza: allora, Piscopo chi racconta balle?

Quando dirigevo “l’ultima Ribattuta“, mi sono occupato molte volte della politica commerciale di Rai Pubblicità, la concessionaria di viale Mazzini. Dati alla mano, ho denunciato senza mezzi termini come si stesse facendo il possibile per distruggere i risultati raggiunti fino al 2012 dall’ex-SIPRA.

Soprattutto attraverso una politica di sconti scellerata. L’amministratore delegato, Fabrizio Piscopo, mi ha per questo citato in giudizio per ben due volte, accusandomi di averlo diffamato e chiedendo risarcimenti faraonici. Per altrettante volte, due coraggiose magistrate gli hanno dato torto, al termine dei giudizi di primo grado. Ed ora siamo in attesa dell’appello.

Nel frattempo, però, nel silenzio più assoluto da parte di quei media che si precipitano a mobilitare i loro giornalisti ogniqualvolta vengono sentiti in Parlamento i vertici della Rai, la Commissione Parlamentare di Vigilanza ha predisposto un durissimo documento di censura sul comportamento della concessionaria.

Una risoluzione che, se approvata, impone anche alla Rai e alla sua controllata una clamorosa inversione di rotta della politica commerciale seguita fino ad oggi da Fabrizio Piscopo e soci.

Vediamo nel dettaglio cosa ha messo nero su bianco la Vigilanza e se l’ad di Rai Pubblicità si è reso protagonista o meno di una sorta di lite temeraria.

Il punto di partenza è il richiamo ad una direttiva europea, la 2009/C 257/01, relativa all’applicazione delle norme sugli aiuti di Stato al servizio pubblico di emittenza radiotelevisiva.

Nelle loro attività commerciali – stabilisce la Commissione Europea – le emittenti di servizio pubblico sono tenute a rispettare i principi di mercato… Gli stati membri assicureranno che le emittenti di servizio pubblico rispettino il principio della piena concorrenza, effettuino i loro investimenti commerciali in rete secondo il principio del l’investitore in economia di mercato e non attuino nei confronti delle loro concorrenti pratiche contrarie alla concorrenza, basate sul loro finanziamento pubblico“.

Molto chiaro, no? Ma per essere ancora più chiara, la direttiva così prosegue: “Un esempio di pratica anti concorrenziale può essere la vendita a prezzi inferiori a quelli di mercato. Un’emittente di servizio pubblico potrebbe essere tentata, per ridurre le entrate delle concorrenti, di diminuire in maniera eccessiva i prezzi della pubblicità… dato che il conseguente contrarsi dei suoi introiti e’ coperto dalla compensazione pubblica“.

Ciò che ha fatto, appunto, Rai Pubblicità tra il 2013 ed il 2017. La Vigilanza lo dice chiaramente subito dopo. “Attualmente, la Rai si distingue, nel panorama europeo, per una libertà di ricorso alle risorse pubblicitarie senza pari; basti ricordare che la BBC e la televisione pubblica spagnola RTVE non trasmettono comunicazione commerciale audiovisiva, mentre l’emittente pubblica francese non può farlo nel prime time e anche quella tedesca ha forti limitazioni; nonostante tali condizioni di maggior favore e i limiti imposti dalla disciplina europea, sembrerebbe che negli ultimi cinque anni la Rai abbia posto in essere politiche commerciali aggressive mediante artificiosi e ingiustificati ribassi dei prezzi netti degli spazi pubblicitari, con il conseguente svilimento del valore della risorsa pubblicitaria e gravi effetti di turbativa dell’intero mercato della comunicazione“.

E siamo solo all’inizio, perché nella seconda puntata entreremo – con la Vigilanza – nel dettaglio.

(1- continua)

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