Pietà l’è morta, insieme ad Altero Matteoli

Pietà l’è morta, insieme ad Altero Matteoli

22 dicembre 2017

Pietà l’è morta. Insieme al galantuomo Altero Matteoli. Che ha avuto il solo torto di lasciare la vita su quella stessa strada per cui invano si era battuto per anni contro gli pseudo ecologisti radical chic di Capalbio. Perché venisse trasformata in un’autostrada o almeno in una superstrada. E questo visto che l’Aurelia è una arteria viaria da decine di incidenti mortali ogni anno.

A leggere i commenti in rete di alcuni sciacalli para grillini in calce al pezzo di Renato Farina su Libero di qualche giorno fa, articolo che deprecava questo linciaggio vigliacco post mortem, c’è da rabbrividire. Altro che il “clima infame” di cui parlava Bettino Craxi all’epoca dei suicidi di “mani pulite”.

Qui c’è gente che esulta perché con la morte di Matteoli c’è “un vitalizio in meno”, chi rivendica il diritto a fare festa per la morte di un fascista e, soprattutto, i tanti che lo inchiodano a una condanna in primo grado per corruzione per la storia del Mose che molto probabilmente sarebbe stata ribaltata o assai ridimensionata nei successivi gradi di giudizio.

Ma per la mentalità che si è instaurata in Italia, con la politica trasformata in tifoseria eversiva da curva negli stadi, la stessa che ha portato il partito di Grillo al 30 per cento almeno nei sondaggi, l’avversario politico diventa nemico.

Si abbatte, non si cambia. E se ad abbatterlo è il destino tanto meglio: ci si può abbandonare ai peggiori istinti tribali sul web che tanto, come si dice a Roma, “chi è morto ha sempre torto”.

I torti del galantuomo Altero Matteoli (chi scrive non ha mai avuto la fortuna di conoscerlo di persona), prima di nominare il quale in molti dovrebbero sciacquarsi la bocca, sono stati almeno due.

Prima di tutto di essere “morto sul pezzo”, cioè su quella stessa strada che invano quando era ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti nell’ultimo governo Berlusconi, aveva cercato di fare ampliare, trovandosi sempre ostacolato dal can can mediatico scatenato da ecologisti dal calibro del fratello dell’editore Caracciolo. Tanto per citarne uno.

Poi il torto veramente inescusabile di essere morto con una recente condanna per corruzione sulle spalle.

Perché nel nuovo mondo (“brave new world”, avrebbe detto Huxley) della Casaleggio e associati la morte non estingue più il reato.

Anzi te lo appiccica addosso come etichetta indelebile. Come una conferma in Cassazione. Magari a sezioni unite.

Ha fatto male Matteoli a morire prima degli ulteriori gradi di giudizio.

Oggi la nuova frontiera del pensiero politico e filosofico in Italia è diventata questa..