Altro che una semplice e ben mirata Sassata: ci vorrebbe una sassaiola. Contro l’ipocrita megalomania di Amadeus (“Sostengo e difendo l’arte su questo palco a spada tratta”); contro le bugie di Stefano Coletta (“Ciò che accade in diretta non è prevedibile”); contro il bacio in bocca gay di Fedez e Rosa Chemical (e chissà come si sarà eccitato il direttore dell’Intrattenimento, che già aveva mentito per difendere il marito di Chiara Ferragni sulla pagliacciata contro il vice-ministro Bignami).

Altro che una semplice e ben mirata Sassata: ci vorrebbe una sassaiola. Contro l’ipocrita megalomania di Amadeus (“Sostengo e difendo l’arte su questo palco a spada tratta”); contro le bugie di Stefano Coletta (“Ciò che accade in diretta non è prevedibile”); contro il bacio in bocca gay di Fedez e Rosa Chemical (e chissà come si sarà eccitato il direttore dell’Intrattenimento, che già aveva mentito per difendere il marito di Chiara Ferragni sulla pagliacciata contro il vice-ministro Bignami).

12 febbraio 2023

E si potrebbe andare avanti per ore.
Si sarà reso finalmente conto il Presidente Mattarella in che razza di trappola l’hanno attirato per cercare di “coprire” il Festival di Sanremo più politicizzato e sgangherato mai messo in piedi dalla Rai? Doveva essere l’assicurazione sulla vita fino al termine del mandato per Carlo Fuortes (giugno 2024): nel giro qualche settimana, cioè fino all’inevitabile bocciatura del piano industriale, si trasformerà nel certificato di morte.
E questa è l’unica buona notizia che l’Italia che ha vinto le elezioni del 25 settembre, si aspetta ora -pronti i pop corn- dal governo di centrodestra guidato da Giorgia Meloni. A casa Fuortes, a casa Coletta, a casa un CdA incapace di sventare un’operazione politica di difesa dell’establishment di sinistra che voleva (e vuole) continuare a fare della Rai una sorta di “ridotto della Valtellina” di pavoliniana memoria.
E non è vero che in viale Mazzini siano tutti allineati e coperti dietro Fuortes, Coletta e compagni. Perché in tempo reale, c’è stato anche chi -come il coraggioso Direttore di Rai Radio, Roberto Sergio- ha saputo dissociarsi nettamente da questa disgustosa kermesse paracanora.
Come lui ce ne sono altri, non moltissimi, ma ce ne sono, se proprio non si vorrà paracadutarli dall’esterno come ha sempre fatto questa sinistra becera. E non mancano neppure i dirigenti non certo di destra, che però amano l’azienda e disprezzano i “pasdaran” che l’hanno ridotta in queste condizioni, umiliando le eccellenti risorse interne a tutti i livelli pur di far ingrassare i sempre più potenti agenti e i produttori esterni a loro legati.
La Rai, insomma, può rialzarsi e liberarsi una volta per tutte da questo giogo fazioso e illiberale: basta volerlo, cara Giorgia Meloni.