ANAS e la vergogna del “caso Scannella”: non c’è posto per il figlio di un caduto in servizio

ANAS e la vergogna del “caso Scannella”: non c’è posto per il figlio di un caduto in servizio

08 febbraio 2018

Sei uno sciacallo”. Mi dissero così quando osai fare domande scomode sull’insensata fine di Salvatore Scannella, dipendente ANAS, morto tragicamente il primo giorno di primavera, nel 2017 (leggi qui).

Salvatore amava volare. Quella mattina con il suo ultraleggero era andato a fare delle riprese sul cantiere della strada statale 640 di Agrigento, al chilometro 14. All’improvviso l’aereo è precipitato rovinosamente al suolo. Fatale un cavo dell’alta tensione. Salvatore è morto così, a 55 anni. Lasciando una moglie e due figli.

Tutto si sarebbe archiviato in fretta come un tragico incidente. Ma erano tanti, troppi, gli interrogativi che meritavano un chiarimento. Che ci faceva Scannella, che in ANAS aveva un contratto come impiegato amministrativo, a bordo di un aereo in orario di lavoro?

Era in servizio? Chi l’ha autorizzato? C’era un accordo tra ANAS e Scannella che legittimasse quel tipo di servizi? E soprattutto come si collocava l’incidente in termini di assicurazione? Domande che quella mattina feci prontamente all’Ufficio Stampa di via Monzambano. Conservo ancora quel messaggio che, però, non ha mai avuto una risposta.

È passato quasi un anno da quel giorno. Poi l’altra sera mi è arrivata una mail del figlio maggiore di Scannella, Francesco. Mi chiedeva di richiamarlo subito. Era mezzanotte passata «ma da quando papà è morto io non dormo più».

Francesco non si dà pace. ANAS si è dimenticata di lui e della sua famiglia che da 11 mesi attende giustizia. Mi racconta che suo padre era entrato in azienda con un contratto da responsabile del reparto macchinari di Palermo. Poi, circa un anno prima della tragedia, gli era stato offerto l’interim all’Ufficio Stampa. Senza alcuna formazione specialistica. E senza il corrispettivo stipendio.

Ma Salvatore non si sarebbe dovuto occupare di giornalisti, comunicati o conferenze. Sfruttando la sua passione per il volo e per la fotografia gli fu chiesto di fare foto e girare video per conto dell’ANAS in giro per la Sicilia: la strada statale 115, l’autostrada A19, l’allagamento a Messina, l’inaugurazione della variante di Bronte. Salvatore Scannella era lì, con macchina fotografica e videocamera. «Anas utilizzava il suo materiale per le pubblicazioni ufficiali dell’azienda» spiega il figlio.

Anche quella mattina del 21 marzo 2017, Salvatore aveva avuto precise indicazioni dall’Ufficio Stampa di via Monzambano di andare a fare delle riprese sulla statale 640. La prova è nel suo pc che la mattina dello schianto è rimasto acceso sulla scrivania: sul monitor alcune mail che aveva appena inviato all’Ufficio Stampa con le foto e i video girati in precedenza. Materiale che la polizia ha posto sotto sequestro e che è al vaglio degli inquirenti. «Conservo tutte le mail con gli ordini di servizio che mio padre riceveva con le indicazioni su dove andare a fare le riprese o a scattare foto».

Ma il contratto “ufficiale” di Scannella non specificava l’utilizzo di un aereo. ANAS si è guardata bene da metterlo nero su bianco. Ma tutti sapevano. In Sicilia come a Roma. «Lo chiamavano a qualunque ora del giorno e della notte per chiedergli di fare delle riprese con l’aereo. Il presidente Armani lo aveva più volte ringraziato per il suo prezioso contributo. Ma non lo hanno tutelato. Non si sono mai assicurati che operasse in sicurezza. Oltretutto l’attrezzatura per le riprese, l’ultraleggero e le spese del carburante erano tutte a carico di mio padre. ANAS usava il suo materiale, ringraziava, ma poi ufficialmente teneva le distanze».

Finché non è avvenuta la tragedia. «Quel giorno lo chiamò l’Ufficio Stampa di Roma chiedendogli di andare a fare le riprese del nuovo tracciato della statale 640. Gli chiesero di scendere di quota il più possibile, per fare delle riprese della carreggiata» racconta Francesco.

Un cavo di alta tensione non segnalato gli è stato fatale. «I cavi posti sotto i 45 metri di altezza, per legge, devono essere segnalati da una luce intermittente. Se fossero state seguite le norme, il Gps dell’aereo lo avrebbe rilevato e mio padre lo avrebbe evitato. Invece ci è finito contro».

Francesco chiede giustizia. Ha incontrato i vertici di ANAS che in un primo momento, quando hanno inviato una raccomandata all’Inps per la liquidazione del Tfr, hanno dichiarato che “Salvatore Scannella è deceduto in attività di servizio”.

Salvo poi non rispondere più sull’argomento alle sollecitazioni del legale della famiglia. Nessuno dei vertici, che tanto si sono sperticati nel lodare il lavoro di Salvatore quando faceva comodo, si è poi degnato di partecipare al funerale. Nemmeno una telefonata di cordoglio alla vedova. Nulla.

«Non vogliono assumersi le loro responsabilità» denuncia Francesco. La famiglia Scannella chiede che venga attivato l’articolo 12 della legge 2 aprile 1968, n. 482, secondo cui l’ANAS può disporre l’assunzione del coniuge o del figlio del dipendente deceduto per causa direttamente connessa con il servizio.

È questo che vuole Francesco: un lavoro in ANAS, come prevede la legge. Ma l’azienda prende tempo. «Hanno paura che attivare l’articolo 12 sia una ammissione di colpevolezza. Ma non ha alcun senso. E nel frattempo lasciano la mia famiglia nella disperazione. Sia per la morte di mio padre, a soli 55 anni, sia perché non sappiamo come andare avanti».

Francesco, così come il fratello minore Fortunato, è disoccupato. In più ha anche due bambini piccoli da crescere. La vedova di Salvatore vive con i pochi soldi della pensione di reversibilità, ma non ha ancora ricevuto il Tfr del marito, ancora bloccato dalla burocrazia. «Vogliamo solo quello che ci spetta».

Ad aiutarlo nella sua battaglia è l’avvocato Francesco Turoni: «ANAS deve assumersi le sue responsabilità. Avrebbe dovuto tutelare Salvatore. È inammissibile che abbiano sfruttato il suo lavoro, elogiandolo pubblicamente, salvo poi girarsi dall’altra parte quando si trattava farlo lavorare in sicurezza, con tutte le tutele del caso. Per questo chiederemo anche un risarcimento danni. Salvatore Scannella e la sua famiglia meritano giustizia».

Ad aiutarlo nella sua battaglia è l’avvocato Francesco Turoni: «Gli  accertamenti sono al vaglio presso gli inquirenti che possiedono di certo il quadro più completo relativo a tutti gli elementi di questa gravissima vicenda. Chi ha sbagliato dovrà assumersi le sue responsabilità. La Procura competente accerterà, tra le altre cose, se il signor Scannella è stato tutelato e protetto secondo le norme vigenti in materia di sicurezza sul lavoro. Il lavoro è infatti tutelato in ogni sua forma, come impone anche la nostra costituzione. È inammissibile che si sia elogiata l’attività del signor Scannella quando era utile e adesso che il peggio è accaduto si metta persino in dubbio il fatto che volasse per ANAS. Salvatore Scannella e la sua famiglia meritano giustizia. E il nostro studio legale sta lavorando in questo senso».