Anche la legge sulla buona scuola finisce in vacca

Anche la legge sulla buona scuola finisce in vacca

06 dicembre 2017

Il concorsone per i precari della scuola da assorbire va rifatto. E anche la legge sulla cosiddetta buona scuola, tra le tantissime dell’esecutivo Renzi, finisce in vacca. Meglio nel tritacarne della Consulta. Che ieri ha sancito un principio elementare di parità dell’accesso ai concorsi pubblici.

Il tutto dichiarando l’illegittimità costituzionale, su istanza del Tar del Lazio, dell’articolo 1, comma 110, ultimo periodo, della legge 13 luglio 2015, n. 107 – Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti – “nella parte in cui prevede che “ai concorsi pubblici per titoli ed esami non può comunque partecipare il personale docente ed educativo già assunto su posti e cattedre con contratto individuale di lavoro a tempo indeterminato”.

E, “in via consequenziale, l’illegittimità costituzionale dell’articolo 17, terzo comma, ultimo periodo, del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 59” .

Tradotto in parole povere quest’ultimo capoverso della sentenza numero 251, di cui è stato relatore nientepopodimeno che Giuliano Amato, significa sic et simpliciter che va rifatto il concorsone per mettere a ruolo i precari. Prevedendo l’allargamento anche a chi precario non è.

Della serie: come volevasi dimostrare.

E la ratio di questa censura a una legge fatta coi piedi è semplice, e contenuta nel paragrafo 6.1 della motivazione: “La disposizione censurata esclude dai concorsi pubblici per il reclutamento dei docenti coloro che siano stati assunti con contratto a tempo indeterminato nelle scuole statali.

In questo modo, il diritto di partecipare al concorso pubblico è condizionato alla circostanza – invero “eccentrica” rispetto all’obiettivo della procedura concorsuale di selezione delle migliori professionalità – che non vi sia un contratto a tempo indeterminato alle dipendenze della scuola statale.

Di contro, un’analoga preclusione non è prevista per i docenti con contratto a tempo indeterminato alle dipendenze di una scuola privata paritaria, né per i docenti immessi nei ruoli di altra amministrazione.”

Vale la pena di riportare per intero questo passo perché in fondo la censura suddetta non è tanto alla costituzionalità di una norma, quanto alla logica intrinseca.

I tecnici del ministero della “pubblica distruzione” della non rimpianta Stefania Giannini evidentemente non erano neppure all’altezza di fare i ragionamenti più elementari.

Peggio per loro. Si potevano risparmiare l’ennesima figura da cioccolatai.