Che fine farà Piaggio Aerospace, una volta gioiello e orgoglio dell’industria aeronautica italiana? Proprio oggi è scaduto il termine per le manifestazione d’interesse all’acquisto dell’azienda. Dopo aver ricevuto negli ultimi anni fiumi di denaro pubblico e aver visto alternarsi intorno ad essa personaggi che sembrano usciti dalla commedia dell’arte, gente da far invidia a maschere come Arlecchino, Pulcinella e Capitan Fracassa, questa disgraziata società attende di conoscere quale sarà il suo destino. Toccherà al commissario straordinario Vincenzo Nicastro, esaminare e valutare le offerte, stilare una short list delle più vantaggiose e decidere d’intesa col Ministero dello Sviluppo Economico. Evitando, com’è purtroppo già accaduto, di vedere un asset dell’industria strategica italiana finire in mani estere.
“Sassate” ha deciso di rifare la storia, in più puntate, del declino di Piaggio Aerospace e degli sconcertanti retroscena che l’hanno determinato. Perché è una tipica ed inquietante storia italiana, in cui la superficialità si mescola dell’incompetenza e le “marchette” politiche alle aspirazioni di carriera di molti protagonisti. Il tutto, dilapidando allegramente e impunemente denaro dello Stato.
Dopo la crisi finanziaria del 2008, l’anno successivo si avvertono i primi scricchioli. Ma è nel 2013 che le difficoltà di Piaggio Aerospace portano alla prima svolta deleteria. In azienda, arrivano l’indiana Tata ed il Fondo Sovrano Mabudala di Abu Dhabi. La Tata ha subito ben chiaro che per il rilancio serve un nuovo prodotto. Un aereo civile a reazione in grado di sostituire il VIP Utility a turboelica P180, ormai indigesto al mercato internazionale. Il nuovo. Serve, insomma, un velivolo di taglia maggiore, capace di far concorrenza al Falcon, al Gulfstream, all’Embraer.
È l’unica buona idea che salti fuori e come tale, viene subito bocciata. Non prima, però, di aver ottenuto un congruo finanziamento statale per lo sviluppo del progetto, in base alla legge 808. Perché gli emiratini hanno progetti ben più ambiziosi: loro vogliono un drone armato. Nessuna azienda al mondo è disposta a fornirglielo e allora si convincono (o qualcuno li illude) di poterlo avere in Italia. La Tata capisce l’antifona e si libera con sollievo dell’azienda genovese e del presuntuoso socio.
Provare a salvare Piaggio Aerospace con i droni, è un progetto alquanto bislacco.
L’unica industria nazionale che ha sviluppato droni è Finmeccanica. Perché ci vuole esperienza nel settore e nell’integrazione di sistemi complessi come quelli necessari per aerei senza pilota. Ma gli emiratini ci credono, trovano chi è disposto a seguirli su questa strada e vanno avanti come treni.
Cosi, salta fuori l’ideona: trasformare il P180 in drone armato. Togli il pilota, gli cambi nome et voilà, il gioco è fatto. Naturalmente è una colossale bufala. I droni da sorveglianza con lunghe autonomie (tipicamente 18/24 ore di volo) sono i sostanza dei moto-alianti, non certo degli aerei VIP pensati per l’alta velocità con un’autonomia di due ore e mezza, per giunta tra i più rumorosi al mondo. Altro che sorveglianza occulta! L’ Aeronautica Militare lo sapeva bene, visto che aveva già acquistato dagli USA gli ottimi Predator e Reaper armati. Come da copione, poi, Finmeccanica stava sviluppando in parallelo un mezzo simile, il Falco Xplorer. E l’Italia partecipava pure al progetto di un drone europeo ad alte prestazioni.
Non c’è niente da fare: ecco in culla il P1HH, cioè il P180 senza pilota. Un mostriccio che, anche ammesso e non concesso di vederlo decollare e tornare a terra tutto intero (cosa che difatti gli riuscirà molto difficile), potrebbe diventare solo un doppione per l’AM; un inutile spreco delle già ridotte risorse disponibili.
Non è finita. A rendere ancora più sconsigliabile l’impresa, c’era poi la trascurabile (si fa per dire) questione della convenzione internazionale MTCR (Multinational Technology Control Regime), che proibiva l’esportazione in paesi di “aree a rischio” di sistemi sensibili per la sicurezza internazionale. E i droni armati, unico motivo d’interesse industriale degli emiratini per la Piaggio Aerospace, rientravano appunto in questa categoria. Cosi come i paesi del Golfo erano considerati a rischio. Bastava ricordarsi di questo vincolo per evitare di illudere i “salvatori” e quindi esporre l’azienda genovese al fallimento e la credibilità italiana al pubblico ludibrio. Visto che sarà proprio il P1HH l’inizio dell’agonia.
Come fare per andare avanti in un progetto così scriteriato e privo di validità industriale? Servivano delle “sponde” accreditate, politiche e militari. Perché la Piaggio Aerospace è sì di proprietà emiratini, ma è pure azienda di interesse strategico. E come tale soggetta al potere di controllo dello Stato italiano. Difatti, la cosiddetta “golden power” viene confermata con un decreto attuativo della legge 56/2012, emanato dal Presidente del Consiglio il 18 Aprile 2014. Assegna come diritto-dovere al governo “di vigilare sul mantenimento dell’equilibrio economico-finanziario di Piaggio, anche al fine di consentire la realizzazione di programmi indicati nel piano industriale”. L’incaricato di gestire il corretto esercizio dei poteri speciali previsti dal decreto è la ministra della Difesa Roberta Pinotti, la quale delega come suo rappresentante (“cane da guardia” in gergo, il generale di Squadra Aerea Enzo Vecciarelli, allora in servizio presso Segredifesa. Ma sono anche altri due generali a tre stelle dell’AM, a rivestire ruoli di primi piano nella vicenda: i generali Carlo Magrassi (consigliere militare del premier Matteo Renzi) e Pasquale Preziosa, CSM dell’Arma Azzurra.
(1–continua)
Vedo che è molto informato.
Sono un lavoratore Piaggio aereo in cassa integrazione da quasi sei anni.
Ce n’è anche per sindacati capi e colleghi.
Nel periodo che stiamo facendo cassa integrazione nell’azienda fanno pure straordinario e hanno anche assunto interinali a tempo determinato.
Dovevamo fare rotazione ma non ne abbiamo mai fatta.
Se vuole qualche informazione in più mi contatti alla mia mail
Purtroppo un quadro lucido e preciso quanto deprimente. Vorrei però provare a dare al lettore una inquadratura dall’altra faccia della luna, da chi non conosce mercati, generali, ministri, ma è chiamato a creare qualcosa di estremamente complesso come un drone.
Ho partecipato alle fasi di test dei prototipi, una attività congiunta Piaggio – Leonardo, team di tecnici che per mesi e mesi a Trapani sotto il sole, il vento, la pioggia battente anno lavorato insieme per dare vita ad un progetto ambizioso. Certamente non produttivo o sensato, ma comunque vissuto con impegno e sacrificio da parte di chi aveva come obiettivo dare la vita a quel drone. Ricordo la tensione prima dei voli, i test falliti e le nottate per risolvere i problemi, l’emozione dei decolli e la soddisfazione, l’orgoglio per successi ottenuti, per le ore di volo accumulate, per soddisfazione dei piloti dopo l’atterraggio.
L’ultima volta che sono stato in base il drone stava effettuando voli completamente autonomi, con atterraggio automatico. Il sistema che seguivamo noi era completamente integrato e operativo. Poi lo stop e l’agonia irrisolta.
Sicuramente uno spreco enorme di risorse, la tipica vicenda all’italiana, ma vorrei che chi legge sapesse che ci sono state anche grandi competenze, grandi capacità e importanti esperienze, che andrebbero valorizzate per far sì che non tutto sia stato sprecato.
La ringrazio
Articolo spregevole, approssimativo e di parte, evidentemente anche su web una testata giornalistica ha i suoi costi e va mantenuta. Brilla in positivo il paragone con le maschere, talmente azzeccato da non lasciare dubbi che chi l’ha ispirato fosse parte del team.
Ci voleva Francesco Baracca…li faceva fuori tutti….morto per trovarsi un’italia così
Vergognatevi!!!!!!
Quello che ha scritto non fa una grinza e glielo confermo con una testimonianza diretta essendo una vittima del centinaio circa di ex colleghi finiti nel tritatutto del pd e dei sindacati che firmarono la “ristrutturazione” del 2014.
Per far fronte all’ennesima voragine debitoria contratta dall’ennesima gestione fallimentare, nel giugno di quell’anno, nel nome di un rilancio che fini meno di quattro anni dopo con l’attuale amministrazione straordinaria, si spinsero 50 lavoratori storici della piaggio all’autolicenziamento come unica alternativa alla cassa integrazione. Cassa integrazione che sta durando da 6 anni sia per chi rifiutò quell’accordo, sia per chi non accettò come me una buona uscita per sfoltire i ranghi e consentire al sindacato Piaggio una gestione dei numeri più “leggera.”
Come se non bastasse, quei 50 lavoratori confluiti nell’ azienda satellite creata allo scopo, sono a loro volta in cassa integrazione da un anno e mezzo proprio a causa dell’attuale amministrazione Piaggio.
Una storia molto simile ad Alitalia, che finirà probabilmente allo stesso modo, con altri soldi pubblici sperperati mentre centinaia di aziende sane che in questo paese producevano utili, saranno invece costrette a chiudere per la mancanza di aiuti governativi in seguito all’emergenza covid 19.
La invito a monitorare ancora la situazione del dopo vendita con uno sguardo particolare al come saranno impiegati questi soldi, soprattutto alla voce ristrutturazione.
P1HH, un progetto ambizioso che ha consentito l’acquisizione di tecnologia e che ha dimostrato con operazioni di volo la capacità di effettuare operazioni di decollo e atterraggio automatiche. Una attività di sviluppo che sin dall’inizio si è concentrata sugli aspetti “core” delle nuove tecnologie; sviluppo sistemi di comando e controllo remoti, automazione dei sistemi di bordo, criticità delle operazioni di volo dei velivoli “unmanned”.
La scelta della piattaforma P180 ha permesso di ridurre i tempi e i costi necessari per lo sviluppo di una piattaforma ex novo. Aerodinamica, struttura e impianti del P180 non sono sicuramente ottimizzati per una piattaforma MALE UAV, ma l’architettura pusher turboprop, con ala arretrata consente di disporre di ampie zone ideali per l’installazione di sensori da utilizzare nelle missioni di sorveglianza.
Dal punto di vista industriale il P1HH non poteva rappresentare l’ancora della salvezza di Piaggio ma poteva introdurre una interessante diversificazione del prodotto. Probabilmente lo sviluppo del P1XX, il business jet fortemente caldeggiato ai tempi dall’azionista indiano avrebbe dato maggiori prospettive.
Ma questa è storia, possiamo solo prenderne atto e imparare, lo sforzo deve oggi rivolgersi al futuro con l’obiettivo di salvaguardare, fintanto che esiste qualcosa da salvaguardare, un settore industriale che può dare prospettive di sviluppo e occupazione.
“Gioiello”, “orgoglio”, ma di cosa state parlando. Con questa premessa alla prima riga di questo articolo, tutto il resto è privo di senso. Piaggio è stata un’azienda che è vissuta sul sostegno dello Stato per gli ultimi 80 anni. Non ha prodotto alcun aereo in grado di sostenerla e di essere venduto in numeri adeguati sul mercato. A partire dal bombardiere P.108 che uccise il figlio di Mussolini, fino al P.1HH. Una storia di fallimenti tecnici e commerciali. La storia di questi giorni è la logica conseguenza
Articolo scritto sotto dettatura, non si giustifica il tono di “captazio benevolentia”…
Chi dice che l’azienda ha solo prodotto fallimenti tecnici da’ evidenza di conoscerla solo tramite faziosi commenti da bar.
Finmeccanica costruiva radiomodelli, ed è riuscita a tirare fuori il Falco Xplorer grazie all’esperienza maturata sul P.1HH a spese della Piaggio.
Del “sovietico” M346 sono caduti DUE prototipi, ma continua ad essere decantato come l’orgoglio aeronautico nazionale, nonostante lo scarso successo commerciale…
Invece dei manager bolliti non ne parliamo… Gente con la casa a Montecarlo e il riciclo garantito. Gente che pensava al prorpio orticello…
L’azienda utilizzata come “casa di riposo” per ex dirigenti Finmeccanica… Frotte di costosi consulenti che sapevano solo dire “così non va bene” ma senza essere in grado di spiegare cosa si dovesse fare… Imposti politicamente o per rapporti di forza industriale… Questi cosa sono? Aiuti privati all’azienda di stato?