Fini politicamente non c’è più e i finiani “se buttano a sinistra”

Fini politicamente non c’è più e i finiani “se buttano a sinistra”

29 gennaio 2018

In Italia pe’ fa’ carriera – dicevano i padri saggi ai figli nati nei mitici ’60 – tocca buttasse a sinistra”. Erano gli anni successivi all’immediato Dopoguerra e se volevi finire in un ghetto dove la gente si sentiva legittimata a sputarti addosso e a “ucciderti senza commettere reato” non avevi che dichiararti di destra. Manco fascista. Bastava essere di destra.

Gianfranco Fini, che adesso politicamente parlando è un morto, lo sapeva benissimo. I finiani pertanto, oggi che il mentore non c’è più, hanno preso alla lettera la raccomandazione dei saggi padri degli anni ’60 e si stanno tutti buttando a sinistra.

Filippo Rossi, ad esempio – noto per le provocazioni culturali quando era capo redattore con l’”Italia settimanale” diretta da Marcello Veneziani nei primi anni ’90, ad esempio il numero monografico, uscito dopo le elezioni del 1994 in cui vinse il Cav per la prima volta, con in copertina il certificato di retrodatazione di partecipazione alla marcia su Roma che costò al settimanale in questione una valanga di querele anche da parte di magistrati – sarà il capolista di “PiùEuropa” alle regionali, in appoggio a Luca Zingaretti.

Bisognava essere stati presenti a qualche riunione di redazione de “L’Italia settimanale” per rendersi conto della apparente enormità di questo rovesciamento di prospettive politiche.

All’epoca i finiani strizzavano l’occhio ai destrorsi e ai fascisti senza tante remore. Magari con il segreto intento di farsi amorevolmente i fatti loro e voltare le spalle in caso di pericolo.

C’era comunque entusiasmo nel 1994 per la prima vittoria, non l’unica da allora, del centrodestra in Italia. E l’antifascismo militante guardava in maniera occhiuta anche semplici goliardate. Ancora non erano state sdoganate le sparate che oggi possono permettersi i vari leader politici.

E, infatti, il numero goliardico dell’”Italia settimanale” costò caro all’editore, al direttore e a svariati redattori. Le minacciose querele di politici e magistrati ruppero il giocattolo ancora prima che si mettesse in moto.

Neanche due anni dopo “L’Italia settimanale” era già fallita lasciando a destra e a manca solo debiti verso i dipendenti e i collaboratori. Destino parallelo a quel governo Berlusconi che dopo sette mesi era già stato ucciso nella culla da Umberto Bossi (intortato da Oscar Luigi Scalfaro, il capo dello stato che odiava Berlusconi più dell’Anticristo).

In tempi più recenti ci si ricorda di Filippo Rossi, fedele a Fini usque ad effesionem sanguinis – comprese giravolte e ammiccamenti a sinistra – difendere l’ex leader di An, anche apostrofando malamente colleghi bravissimi, dalla storiaccia della casa di Montecarlo. Che adesso è finita in vacca, come era prevedibile fin da allora.

La ciliegina sulla torta, deposte le armi in difesa di Fini, non poteva che essere candidato – dopo avere invano tentato qualche tempo fa con una lista civica di fare il sindaco a Viterbo, dove Rossi officia il meritorio festival culturale “Caffeina” ogni estate – addirittura come capolista della lista “PiùEuropa” con i radicali italiani fagocitati dalla Bonino.

Tra simili ci si intende, evidentemente.