La legge Fornero i guai li ha già provocati. Abolirla non serve, modificarla sì

La legge Fornero i guai li ha già provocati. Abolirla non serve, modificarla sì

05 gennaio 2018

So già che le parole che leggerete provocheranno una marea di polemiche e saranno utilizzate per lanciare accuse nei confronti di chi scrive ma la coerenza ha un prezzo e bisogna farsene carico anche quando la coerenza rende impopolari.

Quando il governo Monti varò la famigerata legge che rivedeva le regole per chi doveva andare in pensione chi scrive queste righe può vantare un primato di numeri di articoli pubblicati sul Giornale d’Italia contro quanto prevedeva la legge che prendeva il nome dell’allora ministro del Lavoro, la professoressa Elsa Fornero.

Quella legge era infausta non tanto perché alzava l’età pensionabile quanto per il fatto che creò una categoria di disperati che furono definiti “gli esodati” ovvero tutti quei lavoratori dipendenti che avevano accettato, spessissimo perché costretti, di uscire dalle imprese private e pubbliche a fronte di una buona uscita che, economicamente, non copriva nemmeno tutto il periodo da quando uscivano fino alla pensione.

Quegli accordi venivano regolarmente registrati presso gli uffici territoriali del ministero del lavoro e rappresentavano l’alternativa al licenziamento senza nulla altro a pretendere.

Quella parte della legge Fornero, che gettò nella disperazione oltre 350 mila famiglie, spostando in avanti l’età pensionabile creo quella categoria di esodati che non potevano andare in pensione, nonostante gli accordi firmati con le imprese, e non potevano nemmeno tornare in azienda.

Senza stipendio e senza pensione ci sono state persone che si sono suicidate e che si sono indebitate per mandare avanti la famiglia. Questa è stata la parte negativa della legge Fornero.

C’è stato poi l’innalzamento dell’età pensionabile che ha penalizzato comunque anche chi lavorava ma che, rispetto agli esodati, almeno poteva contare su uno stipendio da portare a casa.

Detto questo analizziamo, quindi, la parte relativa all’innalzamento dell’età pensionabile che era prevista anche dalla riforma voluta dal leghista Roberto Maroni quando era Ministro del lavoro e che prevedeva il famoso “scalone” ovvero l’innalzamento graduale dell’età per accedere alla pensione.

Se fosse rimasta in vigore la “riforma Maroni” oggi i guai provocati dalla legge Fornero non si sarebbero avuti e il risultato di elevazione dell’età pensionabile sarebbe stato raggiunto senza traumi sociali così come avvenuto dopo.

Oggi il numero degli esodati, quelli creati dalla legge Fornero, si aggira intorno alle 30 mila unità e l’ottava salvaguardia ne dovrebbe recuperare circa 13 mila con un saldo negativo di 17 mila unità. Questi sembrerebbero i numeri definitivi e quindi c’è la necessità di risolvere il problema di questi ultimi 17 mila.

Insomma il guaio è stato completamente consumato e abolire le legge non serve ad un bel niente se non a riportare l’età pensionabile a 60 anni creando problemi alle generazioni future. Ormai l’innalzamento a 65/67 anni è un fatto metabolizzato dalla società e anche coloro che raggiungono quell’età lavorativa magari non raggiungono i 40 anni di contribuzione quindi conviene anche lavorare per avere qualche risorsa in più.

Alla luce di questi dati la richiesta dell’abolizione della legge resta uno slogan propagandistico elettorale ma non risolve alcun problema anzi creerebbe degli squilibri economici non indifferenti che la politica, qualsiasi partito andasse al governo, dovrebbe sanare creando nuovi introiti per le casse dello stato (leggi tasse).

La coerenza, di cui parlavo all’inizio di questa riflessione, dovrebbe portare alcuni politici a fare proposte consequenziali a quello che fece Roberto Maroni e non creare ulteriore deficit economico.

Se poi vogliamo dirla tutta, e non certo per difendere l’indifendibile Fornero, l’innalzamento dell’età pensionabile legato “all’adeguamento automatico dell’aspettativa di vita” porta la firma di Maurizio Sacconi che nel 2010 era ministro del Welfare del governo Berlusconi e che inserì anche la norma per effetto della quale un lavoratore poteva percepire la pensione solo dopo un anno da quando ne aveva maturato il diritto creando, prima che arrivasse la Fornero, una parte di quegli esodati.

Quella sì fu una clausola vessatoria di cui in troppi si sono dimenticati compresi i leghisti che la votarono in parlamento. Ecco quindi che ritornare alla coerenza di cui sopra non guasta e giocare con gli elettori rende, forse, qualche voto in più ma non paga politicamente.

Su questo tema il centrodestra chiarisca cosa vuole fare e soprattutto metta a confronto le posizioni, quelle sì coerenti, di Giorgia Meloni con quelle di Matteo Salvini e di coloro che, con evidenti vuoti di memoria, non ricordano più la riforma voluta (e votata da tutto il centrodestra) dal ministro Sacconi.

Piuttosto ci si preoccupi di eliminare quel jobs act che ha “istituzionalizzato” il lavoro precario togliendo le speranze ai giovani e si creino le condizioni per far nascere nuove imprese e attivare nuovi investimenti nel nostro paese attraverso una vera riforma fiscale che diminuisca le tasse.

Questo è quello che chiedono i giovani. I meno giovani hanno già, in parte, pagato tutto quello che c’era da pagare.