Leonardo: Profumo messo all’angolo tra bugie e reticenze, non risponde a Candiani; ma ora si apre pure il fronte interno

Ricapitoliamo. Nella sua audizione davanti alla Commissione Difesa del Senato, presieduta dalla sua fedele amica Roberta Pinotti (Pd, of course), Alessandro Profumo ha collezionato l’ennesima figura pietosa sul “caso D’Alema-Colombia”. Quasi allo stesso livello dei suoi improbabili interlocutori. Che con le sole eccezioni dei senatori Gasparri (FI) e Candiani (Lega), hanno fatto a gara per fare domande confuse o addirittura in ginocchio.
Vediamo perché.

D’ALEMA—-L’ex-premier -ha detto Profumo- “ha prospettato a Leonardo che queste opportunità (cioè la vendita degli aerei alla Colombia ndr) potessero essere maggiormente concrete, ma fin da subito ha chiarito che sarebbe rimasto del tutto estraneo alle future eventuali attività di mediazione nei nostri confronti”.
Ma certo, come no. E allora perché l’AD non dice a chi furono prospettate le opportunità? Forse perché D’Alema le aveva prospettate direttamente a lui? A chi avrebbe chiarito che sarebbe rimasto estraneo alla mediazione: sempre direttamente allo stesso Profumo? E come giustifica lo sproloquio dalemiano sugli 80 milioni da dividere dopo la firma dei contratti? Silenzio.

E ancora: “tengo a precisare che D’Alema non aveva alcun mandato formale o informale a trattare per conto di Leonardo…”. Ma allora, di grazia, caro “Arrogance”, come mai i suoi responsabili commerciali hanno rifornito l’ex-premier di tutti quei documenti riservati sugli aerei da vendere alla Colombia, arrivando perfino a stilare la bozza di contratto (regolarmente protocollata) con tanto di percentuale al 2%, che D’Alema definisce lo “straordinario risultato” raggiunto?
CANDIANI—-La denuncia del senatore Candiani è stata naturalmente ignorata da tutti i principali media. Eppure il senatore della Lega ha addirittura adombrato un possibile risvolto penale. “Nei giorni scorsi -ha spiegato- ci sono state sollecitazioni da parte di emissari di Leonardo per capire la natura delle interrogazioni presentate sulla vicenda. Non mi pare -ha aggiunto- un comportamento corretto, non mi pare proprio il sistema giusto per interloquire. Se tali pressioni dovessero continuare -ha concluso minaccioso- andranno attenzionate in altra sede”. E allora: è troppo chiedere di sapere chi sono questi “emissari di Leonardo” e chi li ha incaricati di scoprire i retroscena sulle interrogazioni parlamentari sul Columbia-Gate?

FRONTE INTERNO—-Ora Profumo si accinge ad un viaggio promozionale in Brasile, paese ributtante per un “banchiere etico” come lui, retto oltretutto da un uno spregiudicato estremista come Bolsonero. Chissà che belle vendite di sistemi d’arma progetta. Quando tornerà, però, dovrà affrontare il crescente malumore interno che fino ad oggi è riuscito a tenere ben nascosto grazie ai soliti media compiacenti ed ossequiosi.
Di che si tratta? Per esempio della ventilata chiusura di uno stabilimento storico come quello di Giugliano; oppure dell’altrettanto ventilata vendita di asset “strategici” (vedi Oto Melara e Wass), ma anche di pezzi di stabilimenti a vari attori collegati, come MBDA (sempre per fare cassa).

Il tutto, avendo sullo sfondo le migliaia di lavoratori messi in cassa integrazione (con le silenziose complicità dei sindacati) a Pomigliano d’Arco, Nola, Foggia e Grottaglie, ma anche i crescenti malumori per le consulenze plurimilionarie che l’azienda continua ad elargire a destra e a manca.
Il caso più clamoroso e’ l’ampio utilizzo di di Patrick Landau, che Profumo -fin dall’inizio del suo mandato- ha voluto arruolare e pagare con lauto stipendio mensile. È un imprenditore israeliano, nato in Francia ma che vive tra Gerusalemme, Zurigo e Roma, già balzato agli onori delle super consulenze ai tempi di Scaroni AD dell’ENI ( lo stesso Scaroni ora advisor di Leonardo come Deputy Chairman della Rothschild Bank). Allora, la sua collaborazione valeva la bellezza di 5 milioni di euro, visti i suoi solidissimi agganci in Medio Oriente e dintorni. E pure l’ex-Finmeccanica di Guarguaglini si era aggiudicata i suoi preziosi servigi, ma retribuendolo con un solo milione.
Si da’ il caso, però, che nel frattempo la Leonardo di Profumo si sia dotata della Fondazione MedOr, affidandola naturalmente ad un Pd doc come l’ex-ministro (già dalemiano) Minniti, proprio per intensificare le relazioni con Israele ma soprattutto con i paesi arabi. Perché allora pagare profumatamente (absit iniuria verbis) un consulente del genere in un gruppo che fa fatica ad essere competitivo sul mercato internazionale e che deve oltretutto mettere in cassa integrazione migliaia di dipendenti e vendere o chiudere stabilimenti? Mah, misteri dei “banchieri etici (ma fino a dove gli conviene)”.

Fonti interne rivelano poi a “Sassate”, che ciò che fa storcere la bocca al personale sono anche le modalità di questi megacontratti di consulenza, che non sono gestiti da Leonardo Group Service, cioè la società preposta all’acquisto di beni e servizi per il colosso industriale della difesa, ma direttamente dalla Corporate. Forse per evitare troppi controlli e persone coinvolte nelle autorizzazioni? È l’ipotesi più probabile. Chissa cosa ne pensano la struttura dell’audit interno, i sindacati (se ancora esistono), ma anche gli operai in cassa integrazione. E magari pure gli investitori.

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