La solidarietà pelosa della Rai per le minacce Br a Report: ma il capo brigatista Iannelli chi lo fa lavorare?

La solidarietà pelosa della Rai per le minacce Br a Report: ma il capo brigatista Iannelli chi lo fa lavorare?

05 dicembre 2020

Una lettera all’antrace, spedita dal solito cretino che si nasconde dietro l’improbabile sigla “NBR” (Nuove Brigate Rosse?), fa subito scattare la solidarietà di tutta la Rai verso la redazione di Report, destinataria della minaccia.

E ai messaggi di costernazione interni di viale Mazzini per l’episodio, che giustamente lo stesso Sigfrido Ranucci definisce un atto proveniente da “imbecilli”, sono subito pronti a stracciarsi le vesti la FNSI e l’USIGRAI. Poco importa che la lettera anonima sia stata scritta con un semplice normografo e la sigla vergata con un volgare pennarello.

Macché, la libertà d’informazione è a rischio ed è bene tenere alta la guardia. Peccato che nessuno, all’interno e all’esterno della Rai, si sia mai minimamente preoccupato del fatto che con l’azienda collabori da parecchio -sia pure come regista esterno- uno dei capi della colonna romana delle BR, quelle vere, il terrorista Maurizio Iannelli. 68 anni, mai dissociato o pentito, fu condannato all’ergastolo sia al processo Moro-bis, che al termine del Moro ter.

Ora, malgrado appunto non abbia mai dato segni di aver ripudiato la scelta della lotta armata, è ugualmente in libertà. E pagato per la sua nuova attività di regista televisivo del programma di Rai Tre “Amore criminale” (come dire, l’uomo giusto al posto giusto) anche attraverso quel canone versato dai parenti delle vittime sue e dei suoi compagni assassini. Complimenti a lui, a sua moglie Matilde D’Errico (autrice di questo e di altri programmi Rai) e naturalmente ai dirigenti che non si sono fatti sfuggire una simile risorsa “pregiata”. In un’azienda, oltretutto, dove chiunque fa fatica a riuscire a collaborare a causa dei rigidi vincoli sulla “prima utilizzazione”. Ma già, se vieni da sinistra, anche se sei un terrorista  biergastolano non pentito, le porte di viale Mazzini sono sempre aperte. E nessuno si farà mai scrupoli morali ad offrirti un reinserimento. Non in una cooperativa sociale per ex-detenuti tipo quelle di Salvatore Buzzi, ma proprio nella più grande azienda culturale italiana.