Rai: cercasi presidente RCS disperatamente… pessima soluzione

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MILAN, ITALY - MARCH 8: Rai, Italian Broadcasting Corporation, logo at Tempo di Libri, the new Italian Publishing Fair on MARCH 8, 2018 in Milan.

Per carità, Ferruccio De Bortoli e Paolo Mieli sono due eccellenti giornalisti. E sono stati entrambi ottimi direttori del “Corriere della Sera”, ci mancherebbe. Ma cosa ne sanno di Rai? Dicono in tanti: in viale Mazzini serve un “presidente di garanzia”.

La solita balla, perché non c’è mai stato è mai ci sarà, almeno fino a quando le nomine di vertice seguiranno le norme attuali. Serve, casomai, un “presidente riequilibratore”, in grado cioè di farsi sentire di fronte alle eventuali derive troppo “filo-maggioranza” dell’AD e -da poco- anche del DG, cui è affidata la cura della Corporate.

E né Mieli (quello che invitava a votare Pd e che per premio ha ottenuto la sua trasmissione sulla storia), né il pavido De Bortoli, hanno la stoffa del combattente. Quindi, sarebbe il caso di smetterla con questi voli pindarici alla ricerca dei nomi altisonanti. Oltretutto, sono pure lautamente stipendiati da un editore-concorrente come Urbano Cairo.

La Rai, soprattutto in una situazione editoriale di difficoltà com’è l’attuale, può (e dovrebbe) trovare all’interno le risorse necessarie per la nuova catena di comando, senza ricorrere a cervellotiche soluzioni dal di fuori (spacciate per “scelte di mercato”) o al ritorno in azienda di ex-direttori che hanno preferito le scelte economiche offerte dei privati. Tipo, i Nardello, le Andreatta o -addirittura- i Minoli. E queste risorse, a saperle individuare senza fare troppo gli schizzinosi,  ci sono e offrirebbero molte più garanzie di quelle preferite nel passato. Vale per la Presidenza, come per le cariche operative di AD e DG.

Forse è proprio arrivato il momento di affidarsi a quel “partito Rai”, a quei manager interni che sanno dove andare a mettere le mani. Subito, senza dover aspettare i soliti sei mesi per riuscire ad avere almeno un’”infarinatura” di come funziona un’azienda di 12mila dipendenti che assiste angosciata da troppo tempo nel veder affidate all’esterno le grandi produzioni dell’intrattenimento e non solo; che avrebbe all’interno anche le qualità autoriali in grado di non dover più far ricorso ai mediocri format stranieri; che dispone di una macchina produttiva di 5mila tecnici umiliati appresso a ciò che invece potrebbe tranquillamente essere affidato all’indotto, perché non strategico. Di nomi ne girano diversi e Sassate se ne occuperà presto. Anzi, prestissimo.

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