Caro direttore, “la mafia egiziana” di via Tineo mi ha rubato il futuro

Caro direttore, “la mafia egiziana” di via Tineo mi ha rubato il futuro

18 gennaio 2020

Caro direttore,
ho letto l’articolo con il quale finalmente sono venuti fuori i soprusi che avvengono in via Vincenzo Tineo 21 (leggi qui) e voglio contribuire anche io a denunciare questa situazione di prepotenza che, oltre ad essere illegale, sta rovinando la vita a tante persone. Persone come me.

Sono un ragazzo romano. Non ho potuto studiare, non ho potuto laurearmi, non ho un padre, non l’ho mai conosciuto e la mia mamma mi ha cresciuto con tanti sacrifici. Ho provato a lavorare in un ristorante, ero pagato in nero, e mi chiedevano di lavorare 12, 13 ore con la chimera di un lavoro vero. Niente pensione, niente protezione.

Poi un giorno un signore, un cliente abituale che veniva da noi e che mangiava sempre una carbonara mi disse: “Sei un bravo ragazzo, mi piaci, perché non vieni a lavorare con me? Ho una società che si occupa di sicurezza”. Mi chiedevo se avessi vinto il Superenalotto, quasi ero diffidente per tanta generosità, già mi immaginavo sottoposto a turni infernali, pagato una miseria e senza nessuna tutela.

Tuttavia, accettai… perché non provare? E così gli dissi: “Sì, va bene, vengo a fare il colloquio”. E andai. Parlai. Parlò. Ci piacemmo. Si trattava di fare il portiere di uno stabile mi disse, uno stabile particolare abitato da gente in stato di bisogno. Mi propose 900 euro al mese, pochino, è vero, ma con prospettive di crescita, un contratto a tempo indeterminato, i contributi pensionistici, gli straordinari e poi, chissà.

Ero felice, ma ancora non ci credevo, mi dicevo: “Non può essere vero”. Dopo una settimana, mi chiamò l’ufficio personale, mi fecero il contratto, sul serio! A tempo indeterminato! Avevo anche una divisa: mamma mi guardava orgogliosa e mi preparai a dovere per il nuovo lavoro.

La mattina del 2 dicembre andai a prendere servizio. C’eravamo tutti. C’era anche quel signore. Ma quando arrivammo a quello stabile ci tennero fuori. Io non capivo il perché, sapevo che dovevamo sostituire un’altra azienda, ma non avrei mai immaginato che l’altra azienda non sarebbe mai andata via da lì.

C’erano anche i Carabinieri: prima una macchina, poi due, poi addirittura tre. Il signore che mi aveva assunto era dentro. Credo che abbia discusso a lungo con quelli dell’altra azienda ma poi, verso le 11 è uscito, ci ha radunato e ci ha detto: “Mi dispiace ragazzi ma l’altra azienda, con prepotenza, ha detto che non se ne vuole andare, che loro non lasciano lo stabile. Mi hanno anche minacciato. Ma vedrete che chi ci ha affidato il lavoro denuncerà i fatti alle autorità e li farà cacciare. Io, per ora, vado a denunciarli ai Carabinieri che hanno visto tutto e sono stati testimoni di questo sopruso ingiustificato”.

Dopo tre giorni, ci ha chiamato tutti in ufficio e ci ha detto che chi ci aveva affidato il lavoro, invece di denunciare i prepotenti, aveva tolto il lavoro a noi. Ci ha dovuto licenziare, ma ci ha assicurato che farà di tutto per farci tornare.

Non me la sento di dare colpe a lui e alla sua azienda, vittima come me di una prepotenza, fatta poi da una società che praticamente non esiste, che non ha dipendenti e che è in mano ad un egiziano che ufficialmente è un povero ma, in realtà, guadagna un sacco di soldi al mese.

Sono un ragazzo romano, ora sono disoccupato, avevo avuto un’occasione dalla vita: fare il portiere dello stabile di via Tineo 21. La prepotenza mi ha cancellato questa opportunità. La società che illegalmente vi lavora continua a lavorarci, tutti stanno a guardare e io mi chiedo perché non mi permettono di avere un futuro.

Lettera firmata