Le serie tv italiane sulla criminalità organizzata dove la polizia non esiste

Le serie tv italiane sulla criminalità organizzata dove la polizia non esiste

27 novembre 2017

Per una volta è stata la Rai con i quattro episodi di “Sotto copertura – La cattura di Zagaria” (storia ispirata alla vita e alla carriera di Vittorio Pisani, il dirigente di polizia napoletano che mise le manette al boss di camorra) ad andare contro corrente in questo pessimo “vezzo” della produzione televisiva recente di scrivere, e poi girare, serie tv sulla criminalità organizzata dove sembra che le Forze dell’Ordine quasi non esistano.

Si può anche togliere il quasi. In “Gomorra” che pure è sceneggiata dallo stesso Roberto Saviano, la polizia, i carabinieri, la finanza e financo i pubblici ministeri hanno ruoli marginali. Comparse quando va bene. In questa terza serie tv, almeno fino al quarto episodio, si assiste a cose che sono quasi dell’irrealtà: ad esempio il suocero di Genny Savastano, che dovrebbe stare agli arresti domiciliari con il braccialetto elettronico, e che invece partecipa in prima persona a raid camorristici, esecuzioni e quant’altro.

Non parliamo di Ciro, l’altro super eroe negativo della situazione, emigra in Bulgaria, impara non si sa come la lingua locale, stermina i boss di Sofia che pure gli dovrebbero dare da lavorare, ovviamente lo fa quando gli vengono a noia, e viaggia come se niente fosse tra le frontiere di mezza Europa (le più sorvegliate, quelle della rotta balcanica) sempre armato fino ai denti, con in macchina grandi quantitativi di droga, armi e soldi. E non incappa mai in un incidente di percorso.

La polizia e la tanto decantata “lotta alla mafia” sono soggetti buoni solo per sporadiche comparsate in queste sceneggiature.

La stessa cosa accade nella serie tv “Netflix” “Suburra”, dove, partendo da una cosiddetta narrazione già smentita a metà, come quella dell’inchiesta “mafia capitale”, lo sceneggiatore inventa un “mondo di mezzo” popolato da clan di Ostia, zingari mafiosi e un figlio di un poliziotto (ovviamente scemo e distratto) che si improvvisa delinquente spietato.

A parte gli evidenti buchi e salti logici di queste sceneggiature e relative regie, va rilevato come siffatte serie tv finiscano per ammiccare in maniera veramente diseducativa ai criminali e agli assassini. Rendendoli miti da emulare per tutti i borgatari d’Italia.

Eppure proprio su “Netflix” e anche su “Sky” abbiamo l’esempio di altre serie tv, come “Narcos”, “El Chapo”, “Boardwalk Empire” e altre ancora, in cui , pure strizzando l’occhio alla “way of life” dei criminali, si riesce a rispettare la verità dei fatti e a mettere gli investigatori, dell’Fbi, della Dea o della brigata del proibizionismo alcolico degli anni ’30, nella giusta prospettiva storica.

In “Narcos”, che pure racconta l’epopea politico criminale di un personaggio eccentrico e feroce come Pablo Escobar, molto popolare nella sua Medellin avendo pagato scuole e ospedali con i proventi della cocaina (si era addirittura offerto nel 1991 di saldare tutto il debito pubblico della Colombia in cambio di impunità) e che quindi si prestava moltissimo al mito, accade invece che l’eroe positivo sia l’agente Dea che ha contribuito alla sua uccisione.

E in effetti se “Gomorra” prende spunto dall’omonimo libro di Saviano, che però ci mette solo il marchio, il brand, oltre che le mani sulla sceneggiatura di questa serie da “fanta camorra”, “Narcos” ha un rapporto molto più stretto con il libro “Killing Pablo” di Mark Bowden.

Cioè l’uomo che ha liberato la Colombia e il resto del continente americano, del Nord e del Sud, da questo incubo.

Certo ci sono ammiccamenti, come ce ne sono nella serie “El chapo”, a partire dalle canzoncine dei mariachi che sono ben peggio dei neo melodici della camorra nostrana.

La serie “El chapo” è dedicata alla saga di Joaquin Guzman, il macellaio messicano che ha riempito di cadaveri il Messico e il Texas per anni.

Prima di finire estradato in una prigione americana di massima sicurezza.

Però sono sempre gli agenti della polizia, locale e americana, messicani e colombiani, a venire presentati allo spettatore come eroi braccati da un sistema spietato fatto di poliziotti corrotti, di infiltrati, di soldi sporchi che comprano anche i capi di Stato.

E quando alla fine, come nella realtà quasi sempre accade, sono questi paladini del bene a trionfare contro i signori del male, della droga e delle teste mozzate, lo spettatore è spinto a tifare per i primi anziché per i secondi.

Un episodio dei cinque sinora girati della serie tv dedicata a “El chapo” si intitola “El Kgb del cartel de Sinaloa”. E mette in scena una circostanza vera, scaturita dalle indagini in Messico dell’Fbi, della esistenza di un vero e proprio centro di ascolto al servizio dei trafficanti di droga.

Che tutto potevano sentire di quel che ogni giorno dicevano gli affiliati, gli uomini a libro paga nella polizia locale e persino gli agenti Dea sotto copertura in Messico che rischiavano costantemente di venire ammazzati. Visto che i loro cellulari erano stati hackerati.

Chiaro che così lo spettatore è indotto a tifare per le forze dell’ordine e non per i narco killer. D’altronde la serie tv “El chapo” promana dalle memorie di un pentito del cartello di Sinaloa. Più precisamente il responsabile per conto di Guzman del settore sicurezza. E che si decise a collaborare quando capì, proprio da una telefonata da lui stesso intercettata, che sarebbe stato comunque ammazzato insieme ai propri cari.

Lo spettatore italiano che invece si guarderà “Gomorra” avrà un’unica opzione: tifare per Ciro o per Genny. Per Chanel o per il nuovo clan della nuova serie tv, quello degli ultrà del Napoli, camorristi a tempo perso.

Non è solo un problema morale, il fatto che il ruolo della polizia non esista o quasi in queste serie tv che vendono anche all’estero il più conosciuto prodotto italiano da esportazione, cioè mafia, camorra e ‘ndrangheta.

No, c’è anche un problema di verosimiglianza e di credibilità grosso come una casa dentro queste sceneggiature improvvisate.

In Italia la mafia è stata messa all’angolo, c’è il 41 bis, ci stanno tanti boss che sono morti in galera. Poi certo ci sono le vittime e ci sono, purtroppo, anche i professionisti dell’antimafia. I veri orfani della morte di Totò Riina.

Viene il dubbio che chi cogita i soggetti per queste serie tv faccia di tutto per apparire come appartenente a quest’ultima categoria dello spirito. Che già quasi trenta anni or sono veniva amaramente sbeffeggiata da un certo Leonardo Sciascia.