Silvana Saguto e quell’intervista che spiazza tutti

Quale migliore fiduciario che un familiare di un magistrato per amministrare i beni sequestrati alla mafia?” Se è innocente è davvero molto coraggiosa. Viceversa, se fosse colpevole, Silvana Saguto, dopo l’intervista rilasciata a “Panorama” a pagina 60 dell’ultimo numero in edicola sarebbe da perizia psichiatrica.

Rompere il patto politically correct che lega tuttora la ex responsabile dell’ufficio che amministrava a Palermo per conto dei pm e del Tribunale i beni sequestrati alla mafia con gli ex colleghi, sciorinando nomi, cognomi e incarichi assegnati a figli e parenti della maggior parte dei giudici antimafia del capoluogo siciliano non sembra – come potrebbe pensare qualche osservatore non particolarmente profondo e magari anche vagamente interessato – come una chiamata di correo collettiva o peggio ancora un avvertimento “mafioso”.

No, in realtà sembra semplicemente un’ammissione coraggiosa di una donna che vede messa sotto processo l’intera vita professionale che potrebbe essere anche spazzata via con l’accusa ignominiosa di corruzione e di essersi approfittata del proprio ruolo per illeciti arricchimenti.

Un’ammissione che potrebbe voler significare “il re è nudo”. Per decenni, dopo la mitizzazione della legge Rognoni La Torre, si è proceduto così, improvvisamente qualcuno scopre l’acqua calda e a lei resta in mano il cerino. Mentre in tutti gli altri tribunali d’Italia avviene anche di peggio ma nessuno fiata.

Il primo problema sono le interdittive anti mafia che sulla base di meri sospetti – tipo un dipendente parente di terzo grado di un boss che lavora in una determinata ditta– possono portare al sequestro e poi alla confisca di un’impresa ancorchè il proprietario venga mai neppure indagato per mafia. Cosa che sta distruggendo l’economia di intere regioni come la Calabria e la Sicilia.

Poi c’è il problema di queste amministrazioni fiduciarie che finiscono quasi sempre con il fallimento delle imprese e con la perdita di migliaia di posti di lavoro. Con gli amministratori irresponsabili per legge.

E’ il redde rationem di metodi folli di lotta alla criminalità organizzata. Se doveva esplodere il caso Saguto perché la gente si rendesse conto di che razza di follia burocratica stiamo parlando, allora ben venga. Purché il tutto non si risolva con la comoda condanna di un capro espiatorio perché poi tutto continui allegramente come prima.

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