Sindacati inutili? Serve lobby di lavoratori in parlamento al di fuori dei partiti tradizionali

Sindacati inutili? Serve lobby di lavoratori in parlamento al di fuori dei partiti tradizionali

03 aprile 2018

Prima di dare adito per cattive interpretazioni al titolo del presente articolo c’è da precisare che chi scrive è assolutamente convinto che i lavoratori debbano essere difesi e tutelati da organizzazioni di rappresentanza che non possono essere i semplici e tradizionali partiti che, per loro natura, rappresentano o cercano di rappresentare la difesa degli interessi di tutte le categorie e, molto e troppo spesso, così facendo scontentano tutti.

Oggi infatti esistono, e sono previsti dalla nostra Costituzione, le organizzazioni sindacali che negli ultimi decenni, dal dopoguerra ad oggi, hanno subito “mutamenti genetici” che le hanno trasformate in vere e proprie aziende dove s’intrecciano interessi economici che vanno dalla gestione dei contributi pubblici per l’assistenza previdenziale e fiscale alla gestione di fondi per la formazione professionale tramite gli enti bilaterali.

Attorno a questo modello di organizzazione fatta di patronati, Caf e società varie girano svariati milioni di euro che lo Stato ogni anno eroga e che tiene in piedi strutture private con migliaia di dipendenti e centinaia di sedi sparse su tutto il territorio nazionale.

Inutile fare l’elenco di tutte queste strutture che nascono tutte dalla volontà delle grandi e piccole confederazioni sindacali di rientrare nella pletora di associazioni e organizzazioni che si dividono i contributi pubblici e, per quanto riguarda gli enti bilaterali, i contributi delle imprese e dei lavoratori.

Il risultato di tutto questo proliferare di “imprese sociali” è che i sindacati, sempre più concentrati a salvaguardare il mantenimento di queste strutture parallele, forse, hanno “trascurato” la reale tutela del mondo del lavoro.

La continua perdita di associati ne è la dimostrazione plastica e il continuo aumento della sfiducia che si legge nei sondaggi che di tanto in tanto registrano il basso grado di affidabilità nelle organizzazioni sindacali, rappresenta il fallimento di un’Istituzione che, nei decenni che vanno dagli anni sessanta fino alla fine degli anni ottanta, aveva dei consensi superiori a quella dei partiti politici.

Le grandi battaglie sindacali che hanno portato un progresso sociale dei lavoratori dipendenti oggi sono solo un ricordo. Anni fa sarebbe stato impensabile mettere mano allo Statuto dei Lavoratori toccando proprio quell’articolo 18 che comunque dava garanzie e certezze ai lavoratori.

Sarebbe stato impensabile pensare di avere un mondo del lavoro dipendente abbandonato al perenne precariato. Sarebbe stato impossibile pensare che una professoressa Fornero qualsiasi potesse scrivere una legge assurda creando la famigerata categoria degli esodati.

Oggi tutto questo è avvenuto per mano di un governo a trazione post comunista e senza che i sindacati abbiano fatto nulla per impedirlo se non protestare timidamente ma senza grandi scioperi o manifestazioni di piazza che in altri tempi avrebbero bloccato, come è avvenuto, anche il più liberista dei governi.

Insomma in Italia il sindacato ha, di fatto, rinunciato alla protesta sociale accettando passivamente lo smantellamento dello stato sociale costruito con grandi e storiche lotte sindacali limitandosi a qualche proclama di facciata.

A questo punto, come direbbe il giornalista Lubrano, la domanda sorge spontanea: a che serve il sindacato? Forse è meglio dire a che serve questo modello di sindacato?

La storia recente ci insegna, invece, come in paesi, dove era impensabile che un semplice sindacato libero potesse parlare, l’azione di un sindacato di lavoratori dipendenti è riuscito a recuperare non solo i diritti calpestati per decenni ma anche a costruire una società democratica ed un economia basata non sullo sfruttamento del capitale (privato o di Stato) verso i lavoratori ma una economia che rispetta coloro che la ricchezza la producono al pari degli industriali.

Parliamo della Polonia dove l’esperienza di Solidarnosc dovrebbe servire come modello, per tutta l’Europa, per tentare quantomeno una redistribuzione della ricchezza che oggi in Italia, e anche in Europa, vede i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri ma che vede soprattutto lo sfruttamento del lavoro dell’uomo a favore della speculazione finanziaria che rappresenta la nuova forma del liberismo imperante.

Il consociativismo che negli anni novanta ha coinvolto anche le organizzazioni sindacali ha, di fatto, frenato, anzi fatto regredire, quello stato sociale sul quale si dovrebbe basare una società che vuol definirsi veramente democratica.

In Italia sono 170 mila i giovani che ogni anno varcano i confini natali per cercare lavoro all’estero, sono centinaia di migliaia i lavoratori over cinquanta che rimangono senza lavoro a causa delle delocalizzazioni delle imprese in paesi dove il costo del lavoro è più basso ma che rende anche le garanzie sociali di certi popoli inferiori a quelle conquistate in Italia dai lavoratori.

Insomma quella l’offensiva industriale iniziata alla fine degli anni ottanta per smantellare un quadro certo di socialità sta dando anzi ha già abbondantemente dato i suoi frutti. E il sindacato anzi i sindacati, tutti, stanno, praticamente, in silenzio, La lezione della Polonia che con Solidarnosc ha sconfitto l’utopia del comunismo e fatto cadere il muro di Berlino dovrebbe essere un punto di riferimento per chi si occupa della tutela dei lavoratori nel nostro Paese.

Solidarnosc divenne un partito quando ebbe la percezione che solo in parlamento si potevano difendere i reali interessi dei lavoratori mentre da noi si preferisce “piazzare” qua e là qualche sindacalista che ormai è inutile alla causa delle organizzazioni di appartenenza e magari questa scelta viene contrabbandata come un grande risultato del sindacato.

Il vero risultato è che in parlamento siedono tantissimi ex sindacalisti che non sono riusciti ad impedire che l’articolo 18 potesse essere abrogato, che non sono riusciti ad evitare lo scempio della legge Fornero anzi l’hanno votata, che non riescono ad impedire che imprese italiane che hanno usufruito di contributi pubblici oggi licenzino gli italiani per delocalizzare in Albania o in paesi dove i lavoratori “costano meno”.

Insomma anche nell’ultima tornata elettorale abbiamo assistito a “vecchie glorie” del sindacato che si sono fatti eleggere in tutti gli schieramenti politici dal PD a Forza Italia passando anche per la Lega. Sicuramente, come per il passato, non saranno costoro ad evitare l’ulteriore scempio sociale.

La soluzione? Serve un atto di coraggio e la creazione di una lobby che sia in grado di rappresentare e difendere i lavoratori dipendenti attraverso la creazione di un Partito del Lavoro che, al di sopra dei partiti, possa dare voce alle istanze dei lavoratori italiani in parlamento.

Probabilmente stessa cosa dovrebbero fare tutte le categorie sul modello della storica camera delle corporazioni dove gli interessi di categoria si sposino con quelli generali della Nazione ma con la consapevolezza che se c’è da fare sacrifici gli stessi saranno suddivisi equamente tra tutte le componenti di un sistema che produce ricchezza.

Una ricetta antica ma sempre valida che, proprio con Solidarnosc, ha permesso alla Polonia di riappropriarsi della propria democrazia e tentare di rimettere in piedi un sistema economico. Una scelta responsabile e coraggiosa.

Ma i sindacati italiani sapranno rinunciare a privilegi e benefici per fare posto alla responsabilità e al coraggio? La risposta a questa domanda non spetta a noi.