
Acciaierie d’Italia, ultimo atto a scala(ta) Quaranta
La partita per la cessione di ILVA è agli sgoccioli. A contendersi l’impianto siderurgico rimangono le due cordate: quella indiana, rappresentata da Jindal International, e quella azera di Baku Steel.
Sulla carta come riportato da tutti i media, l’offerta azera è certamente la più cospicua. Tuttavia, come abbiamo già scritto in precedenza prima di tutti gli altri su Sassate, l’offerta indiana è molto più solida sul lato industriale. Un vero e proprio grattacapo che al MIMIT hanno provato a risolvere prima proponendo una joint venture tra Jindal e Baku (respinta da entrambi) e ora con l’ingresso dello Stato attraverso Invitalia. Non infatti un mistero che per Baku Steel la tecnologia dell’altoforno non sia tra i suoi ‘core business’ essendo produttori a forno elettrico. Ecco allora la soluzione: vendere ILVA agli azeri e, nell’assumere una partecipazione statale, conferire la gestione dell’impianto al Commissario Giancarlo Quaranta che da mesi si sta auto promuovendo al Governo come salvatore della patria (sebbene Taranto continui a perdere decine di milioni di euro al mese).
L’opzione azera non piace solo ai Commissari, ma anche al MIMIT che disporrebbe ‘de facto’ di un piede nell’acciaieria, rapportandosi a un proprietario che metterebbe soldi senza fare troppe domande visti gli interessi in altri ambiti. Primo su tutti in ambito energetico come dimostrano le trattative in corso per il gruppo API. Certo, anche l’opzione indiana presenta delle criticità. A parte il (basso) valore dell’offerta, Jindal reclama aiuti sul lato del prezzo dell’energia per rimanere competitivo. Detto questo, Quaranta, sebbene sia indiscutibilmente un ottimo tecnico, non sembra possedere la statura del top manager in grado di gestire un impianto come quello di Taranto.
Meno che meno gli altri commissari, valenti professionisti, ma che provengono da settori lontanissimi dall’acciaio. Non va poi tralasciato il fatto che assumere la partecipazione statale significa anche mettere in condizioni i sindacati di bloccare la riconversione green dell’impianto che richiederà molti meno operai di quelli attuali.
Ma la madre di tutti i rischi è un altro: che Taranto rappresenti per il Governo azero una sorta di cavallo di Troia per aprire la strada a nuovi investimenti in Italia e lasciare l’impianto al suo destino una volta che la campagna acquisti azera in Italia sarà conclusa.
Palazzo Chigi ne è al corrente?
LA SASSATA

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