Fincantieri-Naval Group, a rischio il nostro know how (ma il Governo se ne frega)

Mentre il dibattito politico tra Roma e Parigi si inasprisce sui temi di politica estera, i toni si addolciscono quando si parla di business. Il 27 Settembre, la multinazionale navale italiana, Fincantieri, e la sua omologa francese, la Naval Group, hanno firmato una joint-venture per
“presentare offerte congiunte e programmi binazionali di sviluppo sul mercato estero”. Questo uno dei punti di forza resi noti, tramite comunicato stampa, dalla compagnia di Stato francese.

Venendo alle opportunità pratiche portate dall’accordo, la prima commessa consisterà nel fornire quattro imbarcazioni militari di tipo LSS per “supporto logistico” alla Marine Nationale Française, costruite sulla base del design italianissimo della nave “LSS Vulcano”.

Non solo, ma il disegno Bono-Guillou sembra abbia ben altri più lungimiranti orizzonti. Secondo accordi, il 2019 vedrà lo sforzo congiunto delle due compagnie per mettere a punto uno studio finalizzato all’ammodernamento delle navi fregate francesi classe Horizon. In particolare, il progetto prevede l’installazione dei moderni sistemi CMS (Combat Management System), una delle opportunità commerciali più importanti nel mondo delle industrie della difesa.

Solo i costi di studio supererebbero i 20 milioni di Euro, senza contare le spese di produzione e installazione. Un progetto imponente, reso possibile, però, da un accordo controverso. Bono esulta e dichiara che la ratifica della joint venture rappresenta una facile possibilità di “vittoria” sia per Fincantieri, che la Naval Group.

È probabile, infatti, che le due aziende mettano in atto una strategia per abbattere i costi di produzione delle parti di imbarcazione, settore dove entrambe sono esperte. Resta, però, un’incognita la parte riservata ai sistemi integrati, in particolare l’assegnazione della
commessa per la produzione ed installazione dei sistemi CMS per le navi Horizon.

L’occasione sarebbe ghiotta per Leonardo, che in questo sono degli assi, se non fosse per il fatto che non siano proprio i primi in classifica. Tra i proprietari della Naval Group, infatti, oltre Parigi (65%), figurano anche le quote della Thales Spa (35%), ovvero il diretto e più grande competitor della già Finmeccanica.

Un esempio tra tutti, quella volta in cui la commessa degli elicotteri Augusta Westland, pronti per il Ministero della Difesa indiano, venne scippata da “manine” francesi. A questo punto viene da chiedersi se Leonardo non ripeta gli stessi errori. Ma le premesse non sono ottime.

Le voci che si alzano da alcuni dipartimenti di Leonardo lasciano intendere che l’azienda non sta avendo la meglio sulle sfide lasciate in eredità dall’amministrazione Moretti. E queste sfide consistono, principalmente, nel tentare di ricostruire una struttura commerciale che, attualmente, si muove davvero a fatica.

L’attuale amministratore delegato, Alessandro Profumo, non è ancora riuscito a dare la svolta che l’azienda cercava, e già in tanti preannunciano che anche questa commessa finirà ai cugini d’oltralpe. Inoltre, i due super manager, Profumo e Bono, non sembra vadano particolarmente d’accordo.

A questo punto ci si aspetterebbe un messaggio dallo Stato. Una chiamata a fare quadrato tra aziende italiane, per dare possibilità di ripartire ad una delle realtà di Stato che negli ultimi anni ha conosciuto più sconfitte, che vittorie.

Ma Roma ne esce apparentemente soddisfatta dall’accordo tra le due multinazionali, chiudendo un occhio, però, su come Macron stia facendo di tutto per ostacolare le aziende italiane. Il Presidente francese, infatti, sembra essere particolarmente timoroso che, negli accordi di collaborazione Fincantieri-Naval Group, la parte italiana possa prendere il sopravvento. E non è un mistero che la Thales ne esca favorita.

Profumo, purtroppo, non riesce a rispondere con forza alle spinte di Parigi e lo Stato, tra un rimpasto e l’altro, ha una presa troppo debole. All’Ad di Leonardo sembra, però, sfuggire che non è soltanto il cash flow aziendale ad essere a rischio, ma il know how stesso dell’azienda. Fuori dai termini aziendali, si chiamerebbe spionaggio industriale.

Solo che in questo caso, non si tratterebbe di vero e proprio spionaggio, ma di lasciare la porta aperta per una svista, si spera, in buona fede. L’ex Finmeccanica ha progettato, infatti, una gran parte dei sistemi in dotazione alle navi di Fincantieri e, con questo nuovo accordo, la Thales potrebbe avere accesso a quel settore di competenze che dovrebbe essere, invece, custodito gelosamente per non perdere uno dei pochi primati che restano in mano italiana.

Un vantaggio del genere permetterebbe, infatti, ai francesi di posizionarsi in prima fila per ambire a diventare il punto di riferimento europeo per la produzione di sistemi di difesa. Il primato sul piano delle industrie della difesa avrebbe, inoltre, sicure ripercussioni sul campo dell’influenza sulla scena internazionale. Esattamente lo stesso campo dove oggi il governo giallo-verde si trova in conflitto con Parigi.

Viene da chiedersi allora se anche questo governo non stia esultando per una vittoria a metà. Da un lato, le italiane, anzi un’italiana, si ritaglia il proprio spazio e fa valere il proprio ruolo. Dall’altro, stiamo mettendo a rischio future possibilità di business e l’esperienza che fino ad oggi ci garantiva un primato in tutto il mondo.

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