ANAS e l’assurda (quanto inutile) spesa: 15mila euro in post-it
Chi ha comprato il Corriere della Sera di ieri non ha potuto fare a meno di notare un curioso post-it appiccicato sulla prima pagina. Si tratta di una operazione di marketing con la quale ANAS pubblicizza un call center da chiamare per segnalare buche, guardrail mancanti o ponti scricchiolanti. La prossima mossa quale sarà? Reclutare tutti i vecchietti che supervisionano i cantieri e mandarli in giro a fare un lavoro che dovrebbe fare un tecnico, di sicuro più competente?
Ma vabbè. Lasciando da parte le facili battute, sicuri della schiettezza dell’idea, un po’ meno sulla sua reale applicazione, passiamo ad un’altra questione: nell’epoca di internet, delle campagne social a costi pressoché pari a zero, laddove hai un sito internet, una pagina Facebook, un account di Twitter e Dio solo sa cos’altro, perché mai per fare pubblicità ad un servizio del genere ANAS ha scelto un canale così inutilmente costoso come la prima pagina del Corriere della Sera?
Fare un’operazione del genere, una tantum, con un giornale di quella tiratura, significa aver speso occhio e croce 15mila euro (di soldi pubblici). E poi si sa che fine fanno i giornali il giorno dopo… Quindicimila euro sono all’incirca lo stipendio annuo di un operaio co.co.pro. che potrebbe essere assunto per tappare le buche sulla E45 (tanto per citare una strada a caso).
Qui le cose sono due: o in ANAS non sanno come buttare via i (nostri) soldi oppure dietro questa discutibile “operazione di marketing” c’è dell’altro.
E il pensiero non può non andare a tre anni fa, quando insieme al direttore Guido Paglia, ho iniziato ad occuparmi di quanto accade in via Monzambano e ci chiedevamo come mai i giornali, al tempo, fossero così “distratti” quando si trattava di riportare le notizie riguardanti l’ANAS.
Noi un’idea ce la siamo fatta. Sia chiaro, si tratta solo di un’illazione, ma vediamo insieme se il ragionamento fila: ANAS da sempre fa pubblicare sui principali quotidiani quelli che noi, bonariamente, abbiamo ribattezzato “santini”. Si tratta di “quadrotti” che riportano le comunicazioni ufficiali dell’azienda (avvisi di bandi di gara, concorsi e gare di appalto, eccetera).
Ovviamente queste pubblicazioni hanno un costo. Ogni quotidiano ha un suo “tariffario” per le inserzioni pubblicitarie e, a seconda della dimensione, della quantità e del numero di uscite previste, il presto lievita.
«A pensar male si fa peccato ma si indovina» diceva Pio XI (riciclato, poi, da Andreotti). Dunque il dubbio è lecito: se io, testata x, ho tra i miei clienti paganti l’azienda y, perché mai dovrei sputtanarla? Ci pensasse qualche altro giornale che non ha conflitti di interesse di sorta. O no? Questo il nostro ragionamento. Magari ci sbagliamo. Magari no.