Arbitri e magistrati, protagonismi e imparzialità
Il protagonismo mediatico, checché se ne pensi, non è solo la forma post moderna dell’esibizionismo. Né l’anticamera per l’entrata in politica come salvatori della patria. No, oggi come oggi, purtroppo è diventato una scorciatoia per imporre il prodotto “se stesso” sul mercato. Una specie di concorrenza sleale ai danni di chi non ha la faccia tosta di comportarsi così.
Questo stato di cose per i magistrati e gli arbitri (ahi noi pure per i giornalisti, specie televisivi) sta diventando una patologia esistenziale. Che di fatto si allarga dal singolo all’intera società. Contagiandola con comportamenti che solo una ventina di anni or sono sarebbero stati oggetto di studi psichiatrici più che psicanalitici.
Oggi tra una “influencer” che fa vedere cosce, culo e tette ogni giorno su Instagram ai propri follower e spesso ottiene di essere pagata dalle aziende per questo, basta che abbia l’accortezza di indossare un minimo di biancheria intima griffata, e un arbitro di calcio che tiene un profilo Facebook sotto mentite spoglie in cui vanta le proprie pretese prodezze umane e professionali c’è ben poca differenza.
Come non sembra essercene tra un ex pm che viene invitato ogni settimana in un qualche talk show catodico a predicare più galera per tutti e un direttore di giornale che sul giustizialismo costruisce (il verbo andrebbe coniugato al passato prossimo) la propria fortuna editoriale.
Alla fine l’approdo carrieristico di tutte queste figure (non necessariamente positive né esemplari, ma comunque catalizzatrici di tanti “like”) è sempre lo stesso: proporsi per una qualche formazione politica a trazione leaderistica. E candidarsi a guidarla.
Chi non si adegua non solo viene visto come un “matusa” ma di fatto va fuori mercato. Il giustizialismo paga e molto più velocemente di qualunque datore di lavoro.
Per di più tra giornalisti e magistrati in molti casi si instaura un cortocircuito per cui i primi aiutano i secondi a diventare famosi con le proprie inchieste in cambio di notizie esclusive che poi, inevitabilmente, finiscono per agevolarne l’ascesa sociale e carrieristica.
E se hai preso sempre e comunque le parti della pubblica accusa un po’ ovunque in Italia da giornalista sei anche al sicuro contro le querele: perché ti difenderà implicitamente o esplicitamente chi le notizie ti ha passato.
Vere o false che siano. O qualche suo collega amico. Senza temere le smentite dei processi che arrivano dopo decenni.
Con gli arbitri e il mondo del calcio sta accadendo un po’ la stessa cosa: se fai uno sgarbo a una squadra di un presidente un po’ eccentrico e magari anche diversamente simpatico quasi sicuramente ti costruisci una tua audience. E a meno che non esageri fai pure carriera.
Capace che diventi un arbitro internazionale.
Fai giurisprudenza.
Naturalmente comportarsi così al riparo della toga, del fischietto o dell’articolo 21 della Costituzione è molto comodo: se qualcuno protesta o inveisce diventi pure “un martire”.
Uno cui esprimere solidarietà contro gli attacchi beceri di chi si ribella. Spesso tacciato di “fascismo”.
In questo modo però, lo stato di diritto, la funzione terza del giudice, l’imparzialità dell’arbitro e anche la credibilità di chi racconta per mestiere la realtà vanno tutte a farsi benedire. Ed è inutile evocare complotti o prendersela con Putin se veniamo sommersi da menzogne, malafede, fake news e sentenze ingiuste. I nostri tempi questo offrono a piene mani.