
Calcio e scommesse: il grande assist del Parlamento ai club rischia di diventare un “aiutino di Stato”
La Commissione Cultura del Senato si prepara a votare una risoluzione che potrebbe rivoluzionare il rapporto tra calcio e scommesse in Italia.
L’idea? Aprire nuovamente le porte alla pubblicità delle società di betting e destinare una percentuale delle giocate direttamente nelle casse dei club. Un’operazione che rischia di innescare un effetto domino dagli esiti imprevedibili.
Si sa, il sistema calcistico italiano è in crisi. Tra debiti, stadi fatiscenti e bilanci zoppicanti, i club chiedono una fetta dei proventi delle scommesse sportive per garantirsi un futuro più stabile. Lecito.
E ora il piano della Commissione prevede appunto che una parte dei ricavi del betting finisca nelle casse del calcio italiano, con almeno l’1% destinato alla costruzione di nuovi impianti e al settore giovanile. Un déjà-vu? Esatto.
Durante il Covid, il Decreto Rilancio (DL 34/2020) aveva imposto un prelievo dello 0,5% sulle scommesse per finanziare il sistema sportivo nazionale. Ora il calcio vuole una quota fissa tutta per sé.
Ma c’è un problema: il calcio non è l’unico sport in Italia. Perché dovrebbero essere solo le squadre di Serie A e B a beneficiare di una fetta delle scommesse, quando il betting riguarda anche basket, tennis, Formula 1 e sport minori?
Nel 2023, le giocate sulla Serie A hanno rappresentato appena il 14,8% del totale delle scommesse calcistiche. Quindi, perché destinare risorse a una sola disciplina?
Oltre ai dubbi, c’è un nodo economico cruciale. Il direttore dell’Agenzia delle Dogane e Monopoli, Roberto Alesse, ha messo in guardia il Parlamento: aumentare la pressione fiscale sulle scommesse per finanziare il calcio potrebbe rivelarsi un boomerang.
Perché se i concessionari di gioco devono pagare di più, per recuperare margine, ridurranno il payout ai giocatori, cioè la percentuale di vincite distribuite.
Risultato? Il gioco diventa meno appetibile e gli scommettitori potrebbero spostarsi verso circuiti illegali, dove le vincite sono più alte (e le tasse pari a zero).
Meno raccolta legale significa meno entrate per lo Stato, più guadagni per le mafie e un danno per l’intero sistema regolamentato.
Il paradosso? Il calcio italiano potrebbe ottenere nuovi fondi ma, nel frattempo, il mercato delle scommesse crollerebbe, lasciando il Governo con un buco nei conti pubblici.
Del resto, il ministro Andrea Abodi l’aveva detto: il problema è il calcio, non le scommesse.
A rendere ancora più surreale la vicenda è il fatto che il vero problema del pallone italiano non è la mancanza di entrate, ma l’incapacità di gestire i costi. Lo stesso Ministro dello Sport lo ha dichiarato nel 2023: “Il calcio doveva ridurre i costi e aumentare i ricavi. Dopo il Covid, sembrava inevitabile un ridimensionamento. E invece i costi sono aumentati.”
E ora? Invece di affrontare la questione strutturale, si cerca di tappare i buchi con i soldi delle scommesse. Qualcuno, nei corridoi del Mef, inizia a parlare di aiutino di Stato…
LA SASSATA

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