La casta dei sindacati si colpisce applicando l’articolo 39 della Costituzione

La casta dei sindacati si colpisce applicando l’articolo 39 della Costituzione

25 giugno 2018

Da due settimane l’Italia ha un governo nato dopo 90 giorni di “gestazione” e che rappresenta la sintesi della volontà popolare uscita dalle urne il 4 marzo scorso. Ebbene in questi 15 giorni tutti i mezzi di informazione si sono scatenati per chiedere ai nuovi ministri di agire in fretta per risolvere situazioni incancrenite dal tempo che riguardano il lavoro, la pubblica amministrazione, l’ambiente e così via.

In particolare abbiamo notato un’imponente campagna per “caldeggiare” la proposta di legge della senatrice della Lega, Silvana Andreina Comaroli, denominata “Norme in materia di bilancio dei sindacati e delle loro associazioni nonché in materia di trattenute sindacali”.

Tutto legittimo, per carità, e oltremodo condivisibile in quanto ormai, come avviene in politica, anche nel campo sindacale la sfiducia dei lavoratori ha raggiunto i massimi storici favorendo la crescita di altre sigle sindacali autonome (dalla politica o meglio dai partiti), più snelle e soprattutto più affidabili.

Tornando al titolo della legge proposta dalla Senatrice Comaroli, non si può non essere d’accordo con la necessità di rendere trasparenti i bilanci delle organizzazioni sindacali che, comunque, va ricordato sono associazioni prive di personalità giuridica e quindi agiscono come enti di fatto ai quali si applicano le norme del codice civile in tema di associazioni non riconosciute. Premesso questo ormai è notorio che le organizzazioni sindacali hanno allargato il loro orizzonte di “interessi” che va oltre quello della tutela dei lavoratori attraverso la stipula dei contratti collettivi di lavoro.

Patronati, Caf, partecipazione in enti bilaterali, fondi pensione, centri di formazione e quant’altro rappresenti un business per fare cassa sono la nuova frontiera del sindacato. Quindi da associazioni di fatto sono diventate vere e proprie imprese commerciali anche se queste imprese sono rappresentate da organismi paralleli comunque pilotati dalle centrali confederali.

Non vi è stato modo ancora di avere il progetto di legge ma leggendo anche alcuni commenti giornalistici si apprende che qualcuno sta lanciando un’altra campagna per dire “basta alla trattenuta in busta paga per gli iscritti”. Chi la pensa così riteniamo che non abbia chiari i confini di una libertà, sancita nella costituzione di associarsi ad un sindacato con la volontà di impedire, giustamente, che il sindacalista diventi un privilegiato rispetto agli altri associati.

E’ completamente inesatto e fuorviante, come qualcuno ha scritto, affermare che “il lavoratore si vede sfilare dal portafoglio la trattenuta anche se non ha scelto di aderire al sindacato”. La delega sindacale, con la quale si chiede l’iscrizione al sindacato e contestualmente al datore di lavoro di effettuare mensilmente una trattenuta sulla busta paga, è un atto di liberalità e di volontarietà.

Si chiama delega perché è firmata dal lavoratore che non è costretto a farlo se non lo ritiene opportuno. Cosa ben diversa sono gli enti paralleli che, godendo di finanziamenti pubblici, sono comunque sotto la vigilanza dei ministeri, competenti, l’economia per i Caf e il Lavoro per i patronati, che forse dovrebbero esercitare questa “vigilanza” in modo più stretto onde evitare situazioni incresciose che, purtroppo, si stanno verificando anche in questo periodo.

Necessario quindi un controllo più stretto quando si parla di fondi statali e richiesta di trasparenza sui bilanci delle organizzazioni sindacali. Per ottenere questa trasparenza basterebbe attuare l’articolo 39 della Costituzione che impone la “registrazione presso uffici o centrali secondo le norme di legge. In questo modo il sindacato avrebbe un riconoscimento giuridico soggetto anche a controllo pubblico per quanto attiene un “ordinamento interno a base democratica”.

Insomma, senza fare esempi noti a tutti, per evitare che alcuni sindacalisti screditino tutta la categoria non è accettabile rimettere in discussione conquiste sindacali di base come la trattenuta in busta paga. Regolamentare l’Istituto del Sindacato si può, senza arrivare a proposte che, comunque, non rientrano nella sfera delle competenze del legislatore perché affidate alla contrattazione tra le parti.

I privilegi e le caste vanno si estirpate, sia in politica che nel sindacato, ma senza stravolgere la Costituzione anzi attuandola. Cominciamo dall’articolo 39 della Carta Costituzionale. Se lo ricordi la Senatrice Comaroli e coloro che sostengono, all’interno del suo partito o della coalizione di governo, queste tesi “anti-casta” così come sarebbe opportuno che il neo Ministro del Lavoro, in attesa di un reddito di cittadinanza che non si sa se potrà mai attuarsi, faccia applicare l’articolo 46 della Costituzione relativo alla partecipazione dei lavoratori agli utili delle imprese.

Questo articolo è a costo zero e farebbe fare un balzo in avanti al welfare italiano. In queste ore abbiamo ascoltato il Ministro Di Maio che al Congresso della Uil ha chiesto la collaborazione dei sindacati per attuare il suo programma. Prendiamo atto che non è quel Di Maio che nel settembre dello scorso anno urlava “I sindacati si autoriformino o ci pensiamo noi quando saremo al governo” e riscontriamo che un conto è essere all’opposizione un altro è essere al governo ma, Signor Ministro del Lavoro, cominci a pensare ad attuare gli articoli 39 e 46 della Costituzione così vedremo chi potrà sedere a “pieno titolo” nei tavoli della contrattazione privata anche perché in quella pubblica le regole già esistono ma sia la stampa di regime che qualche membro del governo sembra non essersene accorto. Eccola la vera riforma delle relazioni sindacali.