Il coprifuoco ci salverà la vita. Anzi no, basta andare allo stadio
Che il calcio fosse in grado di smuovere folle oceaniche, accendere diatribe, alimentare asti e rancori tra fazioni, sprigionare il meglio e il peggio dei tifosi, lo sapevamo. Ma che fosse anche in grado di scollare il ministro della Salute, Roberto Speranza, e il Comitato Tecnico Scientifico dalle loro posizioni granitiche in tema di coprifuoco, proprio non ce lo aspettavamo. O forse sì.
Sì, perché il calcio è stato uno dei primissimi sport a ripartire, dopo il lockdown, e il primo a vedersi concessa la deroga al coprifuoco. Dopo sei mesi di restrizioni, di corse a casa entro le 22, di panini trangugiati con il rischio di un soffocamento entro la dead line imposta da chi “tutela la nostra salute”, ieri, in occasione della finale di Coppa Italia tra Juventus e Atalanta, tutto sparito, tutto scomparso, tutto dimenticato, con tanto di deroga fino alle 24 per i tifosi delle rispettive squadre giunti a Reggio Emilia per assistere alle prodezze dei loro beniamini. E gli altri?
Già, vi chiederete voi, ci sono pure gli altri. Certo, i comuni mortali ai quali è impedito andare al cinema allo spettacolo serale per via dell’orario (da ieri sostato alle 23), al bar, al ristorante e la lista sarebbe talmente tanto lunga che finiremmo con lo stancare. Perché i primi ad essere stanchi siamo proprio noi. E non dei limiti, dei divieti e delle restrizioni, verso i quali abbiamo dimostrato di avere sangue freddo.
Siamo stanchi delle disparità di trattamento, dei continui e reiterati occhi chiusi dinnanzi alle regole non scritte e ai denari circolanti del Dio pallone, di questa tendenza a fare “figli e figliastri”, fagocitando tutto ciò che sta intorno, comprese le regole da rispettare. Perché, se fino a qualche ora fa Speranza annunciava con il volto stravolto dalla sofferenza di tenere duro, di sacrificare maggio per trarne i frutti a giugno, ora, quella prudenza e quell’attenzione, dove sono finite?
Forse si erano già perse in quei 30.000 festaioli che si sono radunati in piazza Duomo per celebrare lo scudetto dell’Inter. E non serve a nulla che la stampa di oggi lodi i tifosi di Torino che hanno rispettato il coprifuoco e non hanno fatto caroselli per la loro squadra: per il semplice fatto che farli è vietato.
Ma quello che lascia più interdetti e segna una linea invisibile tra il calcio e lo sport in generale, è quanto accaduto agli Internazionali d’Italia di Tennis, terminati il 16 maggio scorso, al Foro Italico di Roma.
Bene, il 13 maggio scorso, durante il match che vedeva opposti il Campione in carica dello Us Open, Dominic Thiem e l’italiano Lorenzo Sonego, i tifosi sono dovuti andare via a fine secondo set perché, altrimenti, non avrebbero fatto in tempo a rientrare nelle proprie abitazioni entro le 22.
Nessuna deroga, nessun rimborso del prezzo del biglietto. Niente di niente, con buona pace di chi ha come unica colpa quella di non correre appresso ad una pelota. La discriminazione è l’unico amaro pegno con cui quelle persone che erano al Foro Italico sono state ripagate. Come mai Speranza e il CTS non sono intervenuti? Perché non hanno consentito a quel pubblico pagante di rientrare un’ora in ritardo a casa?
Il coprifuoco vale sempre, o vale a giorni alterni o in base a chi viene applicato? A questo punto, caro Ministro Speranza, ha senso mantenerlo e attendere il 21 giugno per abolirlo? Visto quanto successo a Reggio Emilia pare di no. Se i tifosi hanno usufruito della deroga, Ministro, ci spieghi perché lo stesso lasciapassare non può essere concesso a chi torna dalla pizzeria, dal ristorante o dal teatro. La risposta c’è, ma è meglio non saperla.