Difesa, intervista all’ammiraglio Abbo: “Vorrei incontrare la ministra Trenta”

Difesa, intervista all’ammiraglio Abbo: “Vorrei incontrare la ministra Trenta”

02 gennaio 2019

Sono anni che l’ammiraglio Diego Abbo denuncia alle autorità irregolarità di varia natura all’interno delle associazioni d’Arma: si va dall’evasione fiscale alla frode ai danni degli associati, passando per un probabile danno erariale.

Senza farsi mancare neppure la contraffazione di un documento pubblico, ovvero di un Decreto Ministeriale. Insomma, ce n’è per tutti i (dis)gusti. Segnalazioni inviate, tra gli altri, all’allora ministra Pinotti e al nostro baldo generale Graziano. Ma nulla. Ora l’appello alla Trenta, chiedendo un incontro.
Ammiraglio Abbo, com’è iniziata la vicenda?
«Tutto è iniziato con un processo di espulsione nei confronti del Luogotenente Ciro Guariglia, in pensione, all’epoca Presidente della sezione Anmi di Marmirolo, in provincia di Mantova. A seguito di alcuni scontri puramente dialettici, Guariglia è stato espulso dall’Anmi. Mi ha chiesto dunque di fargli da difensore al processo. Cosa che mi è stata negata. Dopo alcune mie esternazioni su Facebook sulla vicenda, sono stato contattato dal Presidente della Associazione Nazionale Bersaglieri di Roma Massimo Flumeri, perché era incappato in un fatto analogo a quello del Luogotenente Guariglia».
E cosa ha scoperto?
«Nel verificare quali fossero le motivazioni che avevano portato all’espulsione di Guariglia mi è stato fatto capire, da altre fonti, che – contrariamente a quanto previsto dallo statuto – la dirigenza Anmi percepiva uno stipendio, al nero, contravvenendo alle leggi fiscali».
Per legge non sono previsti compensi per la dirigenza, ma solo rimborsi spese. E i bilanci sono pubblici e verificati…
«Da una analisi dei bilanci presentati si può dedurre una diversa e corposa destinazione delle quote incassate dai soci, a fini privati e non istituzionali. E poi c’è stato qualche “sapiente accorgimento”. Ad esempio: l’associazione spende centinaia di migliaia di euro l’anno di giornalino. Questi soldi servono ufficialmente anche per la spedizione della copia cartacea a ogni socio. Ma dai bilanci non si capisce quanti di quei soldi vengano realmente impiegati per la spedizione fisica del giornale. Anche perché in molti ricevono solo la copia online, a costo zero».
Di quanti soldi stiamo parlando?
«Facciamo un calcolo grossolano, che rende però l’idea. L’Anmi conta all’incirca 38mila iscritti. La quota è di circa 30 euro. Di questi, 10 vanno all’associazione nazionale. Quindi parliamo di un’entrata grossomodo di 380mila euro l’anno, gestiti secondo il bilancio. Ho fatto richiesta di accesso agli atti ai libri contabili, ma hanno tentato di fermarmi con una querela per diffamazione e con l’espulsione dall’associazione».
Lei cosa ha fatto?
«Ho denunciato tutto. Mandando note informative a tutte le autorità dello Stato, dal presidente della Repubblica all’allora ministro Pinotti, ventilando quella che aveva tutta l’aria di essere una “frode carosello”».
In cosa consiste? 
«In sostanza, l’associazione compra il materiale dal vendere ai soci, divise e quant’altro, senza fatturarlo. Evadendo di fatto le tasse. Sono stato contattato da un altro “espulso”, stavolta dall’Associazione Bersaglieri, che ha denunciato fatti analoghi».
Un malcostume diffuso.
«Sì. Basti pensare che in Italia ci sono circa 2 milioni di iscritti alle associazioni d’Arma. Come accennato prima, ognuno di loro versa in media circa 30 euro per la quota associativa: di questi, dieci vanno alla presidenza nazionale. Stiamo parlando di 20 milioni di euro. Secondo il sistema nazionale, questi soldi possono essere introitati senza pagare le tasse. Ma quando “escono” va fatta la ritenuta d’acconto per l’Iva. Però questo non accade».
Lei adesso fa un appello alla ministra Trenta, per chiederle un incontro. Fece la stessa cosa con la Pinotti?
«Sì, ma non ho mai ricevuto risposta».