Difesa/Esteri: ci prendono a calci perfino gli Emirati; ora dobbiamo andarcene dallo scalo di Al Minhad
Non bastava la figuraccia che abbiamo rimediato con l’aereo militare carico di giornalisti diretto a Herat per l’ammainabandiera del nostro contingente in Afghanistan. E costretto ad atterrare in Arabia Saudita, con un ritardo di cinque ore sulla cerimonia. Macché.
Gli Emirati, sempre più imbufaliti con l’Italia per le accuse di fornire gli ordigni con cui avvengono i bombardamenti nello Yemen, adesso ci hanno intimato di smobilitare e togliere il disturbo dallo scalo di Al Minhad, quello utilizzato dalle nostre truppe in arrivo e in partenza da Herat. Così, per riuscire a riportare a casa i nostri soldati, adesso saremo costretti a chiedere aiuto al Kuwait.
Un altro grande successo diplomatico del nostro paese, non c’è che dire. D’altra parte, la crisi con gli Emirati va avanti da tempo e riguarda anche altre vicende oscure sulle quali la magistratura italiana continua a brillare per la sua assenza. Per esempio quella dell’Air Force Renzi e l’altra non meno intricata e vergognosa della Piaggio Aerospace e dei suoi droni (vedi l’inchiesta di Sassate).
Proprio vero: chi semina vento, raccoglie tempesta. E calci nel sedere perfino dai paesi arabi. Tipo la Libia (a cui abbiamo risposto picche alla richiesta di aiuto, finendo per favorire la Turchia), l’Egitto (a cui ieri abbiamo venduto invano le Fremm destinate alla Marina) e oggi gli Emirati. Complimenti vivissimi a tutti, ma soprattutto all’ex-premier Conte, al ministro degli Esteri Di Maio e a quello della Difesa Guerini (alle prese, all’interno del Pd, con le strampalate tesi del segretario Letta e della responsabile Esteri Quartapelle…).
Il tutto, naturalmente, avviene nel rigoroso silenzio-stampa di quasi tutti i media italiani. Compresi quelli con l’inviato a Herat, che hanno già ignorato -come ringraziamento per l’invito in aereo-i primi schiaffi emiratini. Faranno altrettanto anche per i calci nel sedere?