Enas: “Dov’è finita la crociata a difesa del lavoratore quando il difensore diventa oppressore”
Una dipendente dell’Enas, il patronato dell’Ugl, senza stipendio da oltre sei mesi ci scrive questo suo angosciato appello affinché la Costituzione venga applicata soprattutto nella parte del suo primo articolo e perché le Istituzioni possano ridare dignità a chi questa dignità la sta perdendo giorno dopo giorno. La lettera è allo stesso tempo una denuncia del comportamento di chi dovrebbe difendere, per primi, i suoi dipendenti per potersi ergere come paladino del mondo del lavoro. Di fronte a questo accorato appello-denuncia evitiamo commenti giornalistici, lasciandoli, però, ai nostri lettori.
“L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”, cosi cita l’art. 1 della Nostra Costituzione. Oggi, questo articolo, appare un’amara beffa, perché lo Stato e le Istituzioni non garantiscono i propri cittadini.
Il lavoro per ogni individuo rappresenta la dignità, dignità che in questo durissimo periodo storico, purtroppo, in troppi elemosinano, costretti in situazioni di disagio e di semi povertà.
Migliaia di famiglie ridotte sul lastrico, per le chiusure delle aziende, per la migrazione dei colossi internazionali in paradisi fiscali, per i mancati pagamenti degli stipendi, per i licenziamenti.
Sono cresciuta politicamente, ricoprendo cariche istituzionali, nel mondo del sociale; ho avuto modo di confrontarmi con realtà di forte disagio, lottando per anni in campo sanitario, assistenziale e di volontariato.
Ho sposato la politica dei più deboli e per essi mi sono sempre battuta, ignara che tale categoria mi sarebbe ben presto appartenuta.
Da circa 2 anni, ho scelto di servire la cittadinanza, attraverso lo strumento del Sindacato, che mi è sempre sembrato la forma più nobile di lotta contro i poteri dell’oppressione e dei soprusi.
Oggi, purtroppo sono qui a ricredermi, perché proprio coloro che si sono eretti, per anni a paladini dei diritti dei lavoratori, stanno operando la più vile forma di privazione della dignità.
Coloro che per decenni hanno perseguito i capitalisti e l’esercizio del potere economico a discapito della dignità umana, oggi, sono essi stessi divenuti perseguibili, per la leggerezza con la quale hanno ridotto, centinaia di lavoratori, in condizioni di disperazione.
Non è di grande eco, lo so, la situazione in cui versano i lavoratori del Patronato ENAS, i quali da mesi, attendono di percepire la giusta retribuzione per il lavoro che, giornalmente, svolgono a servizio della cittadinanza.
Decine, centinaia di famiglie costrette a far fronte alla crisi del sindacato, attingendo agli ultimi risparmi o ancor peggio gravando sulle spalle di parenti e amici per il sostentamento minimo.
E allora mi chiedo: “Dov’è finita la crociata a difesa del lavoratore quando il difensore diventa oppressore”.
Siamo abbandonati a noi stessi, aggrappati per dignità ad un lavoro che non ci consente di sostenerci, di sostenere le nostre famiglie, che non ci consente di ammalarci e neanche di vivere, mentre chi dovrebbe forse tutelarci, vive in castelli di cristallo, ancorato ben saldo alla propria poltrona.
I nostri vertici, cosa stanno facendo? Come stanno sopravvivendo? Sarebbe interessante capire se i vertici sono stati privati, come ogni lavoratore ENAS, del proprio stipendio, o se si muovono comodi nel loro piccolo mondo intoccabile.
Quello che è certo è che i lavoratori ENAS sono disperati, disperate sono le loro famiglie, che mese dopo mese, si vedono privati dei loro diritti, della loro dignità, senza sapere quando questa tortura avrà una fine, viviamo nel limbo, in attesa che qualcuno arrivi in nostro aiuto e ci consenta di tornare a vivere ed appare sempre più umiliante l’invio di lettere con promesse di imminenti soluzioni, volte a sedare gli animi ed a prendere tempo, mentre i lavoratori lentamente spengono le loro speranze.
Allora, faccio appello alle Istituzioni, allo Stato, affinché mettano fine a tutto questo, affinché intervengano per i propri cittadini, come per le banche e per le multinazionali nazionalizzate, affinché diano semplicemente applicazione all’art. 1 della Costituzione che ci governa, non si può lasciare morire questo paese ed i suoi cittadini, non si possono chiudere gli occhi e le orecchie alle grida di dolore che ormai ovunque si alzano, non si può privare l’individuo della propria dignità.
Elisabetta De Marco