
Ex Ilva, l’ultima farsa del PD (per conto di Landini): “buttiamo dentro le Partecipate e poi si vede”
Nel teatrino politico italiano c’è una costante: quando il Partito Democratico non ha un’idea, tira fuori la formula magica “coinvolgiamo le Partecipate di Stato”. Ora tocca all’ex Ilva, e puntuale arriva la proposta di Francesco Boccia: far intervenire ENI, Leonardo, Cdp, Terna, Snam e chiunque capiti a tiro.
Peccato che la proposta faccia acqua da tutte le parti. Manca un piano industriale, una visione di mercato, un piano energetico, un’idea seria su tecnologia, investimenti e domanda di acciaio. Manca tutto. Ma va bene lo stesso, perché l’obiettivo non è salvare Taranto: è compiacere la segretaria Schlein e il capo della CGIL Landini, che sulla vicenda vogliono una bandierina ideologica da sventolare.
Perché la proposta è disastrosa
1. Nessun progetto industriale
Boccia tratta l’ex Ilva come un dossier “stand-alone”, come se fosse un’azienda qualsiasi da salvare per motivi sociali. In realtà l’acciaio è la struttura portante dell’industria italiana: automotive, meccanica, cantieristica, energia, difesa. Senza una strategia nazionale sul settore, parlare di “intervento delle Partecipate” è propaganda, non politica industriale.
2. Si vogliono sacrificare gli ultimi pilastri del Paese
Le Partecipate di Stato sono tra gli asset industriali più solidi in Italia. Chiedere loro di buttare miliardi in un buco nero significa indebolire proprio quei presidi strategici che dovrebbero sostenere la competitività nazionale. Una follia che nessun Paese serio prenderebbe in considerazione.
3. Nessun conto economico
Quanto costerebbe? Che impatti avrebbe sui bilanci? Sul rating? Sulla capacità di investire in energia, reti e sicurezza? Mistero. Nel PD funziona così: prima si annuncia, poi si spera che i soldi appaiano.
4. Nessuna visione europea
Mentre Germania, Francia e Polonia stanno ridefinendo le loro catene siderurgiche con piani decennali, noi discutiamo se far pagare il conto a Cdp. È la distanza siderale tra chi fa politica industriale e chi la recita.
L’errore di fondo: Taranto non è un caso locale
Il PD continua a comportarsi come se l’ex Ilva fosse una vertenza territoriale tra Taranto, Roma e qualche tavolo sindacale. Un tema da campagna elettorale che si risolve con qualche miliardo pubblico e un po’ di retorica. È una visione provinciale, miope, da dilettanti.
L’acciaio non è un dettaglio:
• è necessario per tutta la manifattura,
• è un settore strategico per sicurezza ed energia,
• è nel pieno di una rivoluzione tecnologica (DRI, idrogeno, forni elettrici).
Pensare che si possa affrontare l’ex Ilva senza un disegno su energia, materie prime, logistica, politica commerciale e geopolitica è semplicemente irresponsabile.
La verità: bocciare Boccia
La proposta del PD è l’ennesima operazione cosmetica: non serve a salvare Taranto, ma a dimostrare che “qualcosa si fa”. Solo che quel “qualcosa” rischia di bruciare miliardi pubblici e di danneggiare le aziende sane del Paese.
L’ex Ilva non si salva con le Partecipate usate come bancomat politico. Si salva solo con:
• un piano industriale credibile,
• una strategia energetica coerente,
• investimenti veri,
• un’integrazione industriale europea,
• la fine dell’ideologia che vede l’acciaio come un totem sindacale.
Il PD, invece, continua a confondere politica industriale con propaganda militante. E mentre Schlein e Landini si scambiano attestati di coerenza, l’Italia rischia di perdere un’altra infrastruttura strategica.
Se questa è l’alternativa di governo, allora sì: siamo messi molto male.


