
Il gioco di Meloni sul Mercosur
Il Mercosur non è saltato. È solo rimandato. E, a conti fatti, è quasi fatto. La mossa chiave di ieri l’ha fatta Giorgia Meloni, diventando l’ago della bilancia tra sostenitori e oppositori dell’accordo. Telefonata con Lula, messaggio chiaro: l’Italia non è contraria, ma serve tempo. Poco tempo. Al massimo un mese.
Tempo per cosa? La spiegazione più credibile non ha nulla a che fare con l’agricoltura o con improvvisi scrupoli ambientali. Meloni sta cercando leva negoziale sul vero tavolo che conta: il bilancio UE. Nel prossimo quadro finanziario pluriennale la Politica agricola comune rischia tagli pesanti. Tenere una posizione ambigua sul Mercosur, ancora per qualche settimana, è una scelta tattica. Non ideologica. Ed è qui che Roma si distingue da Parigi.
Con l’Italia a bordo, al Consiglio europeo i numeri per approvare l’accordo ci sono già, anche se Francia, Polonia e Ungheria votassero contro. Per questo a Bruxelles il Mercosur viene ormai trattato come un accordo fatto, salvo incidenti nelle prossime settimane. Meloni, almeno, è riuscita a prendere tempo con Lula, che aveva minacciato di far saltare tutto se non si fosse firmato entro fine anno. Lo ha convinto ad accettare un rinvio. Ora però tocca a lei mantenere la promessa.
La Francia resta nel limbo. Chiede “clausole specchio” e garanzie operative. Nel trilogo di mercoledì le istituzioni UE hanno rafforzato le salvaguardie, definendo meglio soglie e tempi di intervento della Commissione. Ma non sono clausole specchio. Quelle richiederebbero di riaprire l’accordo, cosa politicamente impraticabile. E, comunque, il pacchetto deve ancora passare dal voto in plenaria a gennaio.
E anche firmare non significherebbe chiudere la partita. Circa 140 eurodeputati vogliono chiedere il parere della Corte di giustizia sulla compatibilità dell’accordo con il diritto europeo. Basta una maggioranza semplice per il rinvio, con il rischio di congelare tutto per fino a due anni.
Morale: Meloni non sta bloccando il Mercosur. Lo sta usando. Come moneta di scambio nei negoziati di bilancio. È politica europea allo stato puro: nessun principio, solo tempo comprato, promesse rinviate e accordi dati per fatti prima ancora di essere firmati.


