Nomine e MEF: la forza del governo Draghi si misurerà sulle “discontinuità” targate Franco-Rivera & C.

Nomine e MEF: la forza del governo Draghi si misurerà sulle “discontinuità” targate Franco-Rivera & C.

07 febbraio 2022

Tutti a chiedersi se il governo Draghi sia uscito più forte o più debole dal caos dell’elezione del Capo dello Stato. Per capirlo, c’è un sistema collaudato: le nomine di primavera nelle società controllate dal MEF. Se i partiti di maggioranza riusciranno a difendere i manager a loro vicini, vorrà dire che l’esecutivo si è indebolito e la supremazia della “politica” tanto invocata nella rielezione di Mattarella, ha rialzato la testa. Se invece i rinnovi dei vertici saranno sempre guidati dagli spietati metodi finora applicati dal ministro Franco e dal suo direttore generale Rivera (d’intesa con Scannapieco di CdP, più Giavazzi e Funiciello a Palazzo Chigi), allora significherà che davvero Draghi si è rinforzato. E la paura per una crisi di governo prossima ventura, allontanata fino alle elezioni politiche dell’anno prossimo.
Il primo segnale sembrerebbe accreditare questa seconda ipotesi. La giubilazione anticipata dell’AD di MPS, Bastianini, fortemente sponsorizzato a suo tempo dal M5s, appare illuminante. Cacciato senza che i grillini abbiano neppure abbaiato. Strano, no?
Ma c’è un segnale in controtendenza. Perché per gli stessi motivi (anzi addirittura più gravi) la stessa sorte di Bastianini sarebbe dovuta toccare anche a Profumo, visti i disastri combinati a Leonardo (e prima ancora proprio a MPS). E invece niente. L’AD dell’ex-Finmeccanica appare intoccabile, protetto com’è dal Pd. Unico caso in cui tutte le anime del partito guidato da Letta formano una sorta di “falange macedone” indifesa dell’ineffabile “Arrogance” almeno fino alla scadenza del 2023. Al massimo, dal MEF e compagnia, potrebbe arrivare l’input di riportare intanto in Leonardo come DG l’unico manager esperto e capace sui temi commerciali, quel Mariani esiliato in MBDA proprio da Profumo, che giustamente lo considerava un pericoloso rivale.
Su quanto peseranno le sponsorizzazioni politiche sulle prossime nomine, si vedrà innanzitutto dal destino di Arcuri, l’AD di Invitalia e contestatissimo ex-Commissario per l’emergenza COVID. Lui può contare sia sull’appoggio di Conte che di buona parte del Pd e, da buon ex-dalemiano, perfino di LeU. La rielezione del Capo dello Stato non lo aiuta, perché tra i più quotati aspiranti alla sua successione, c’è nientemeno che Bernardo Mattarella, molto accreditato all’interno del “cerchio magico” draghiano.
E sempre a proposito del peso che potrà avere nelle nomine anche lo stesso Presidente della Repubblica, c’è il “caso Bono”. Perché malgrado gli eccellenti risultati ottenuti in questi vent’anni, con la scusa dell’età avanzata (78 anni), c’è chi sta tramando per pensionare l’AD di Fincantieri. Senza tenere conto di cosa significherebbe a livello internazionale. Ma un’eventuale uscita di scena di un manager come Bono non verrebbe certo benvista da Mattarella, che ha grande stima del numero uno del colosso industriale per il credito ottenuto da Fincantieri in Italia e all’estero; una sua messa da parte apparirebbe, dunque, come una sorta di vero e proprio sgarbo istituzionale.
I “tecnici” del MEF e dintorni che si riempiono la bocca di termini come “discontinuità” e disprezzano la politica, difficilmente non potranno non tenerne conto.