Il concetto di Paradiso e le frustrazioni sessuali dell’homo islamicus

Il concetto di Paradiso e le frustrazioni sessuali dell’homo islamicus

27 novembre 2017

Il concetto di paradiso riassume in sé tutte le frustrazioni dell’homo islamicus”. Lo scrittore Kamal Daud, un intellettuale laico algerino tra i tanti soggetti intervistati nel bellissimo documentario “Investigating paradise”, ultima opera del regista Merzak Allouache (che solo in pochi avranno visto ai primi di novembre durante il Medfilm festival a Roma), riassume in quelle poche parole la sostanza e anche la forma del messaggio jihadista che sembra avere sedotto e accalappiato i giovani nel mondo arabo – islamico. Come anche qui in Europa.

Kamal Daud

Daud parla di “porno islamismo” e critica ferocemente un prodotto della subcultura wahabita alimentato con anni di propaganda pagata nelle maggiori moschee medio orientali, nord africane e ovviamente anche europee.

E poi fatto ipertrofizzare a partire dagli anni ’90 anche con la nascita di tv satellitari come al Jazeera che “hanno portato la teologia dentro le cucine delle massaie analfabete del nostro mondo”. Donne che prima però vivevano come tutte le altre anche in occidente, sia pure fatta la tara alla propria arretratezza culturale e sociale. “Donne che parlavano con le proprie conoscenti dei problemi reali dei figli e dei mariti, magari anche sessuali”.

A chi in occidente è ancora convinto della bontà di cliché giustificatori come “il colonialismo”, “la povertà”, “lo sfruttamento”, andrebbe fatto vedere e imparare a memoria (stile punizione del teppista Alex in “Arancia meccanica”) questo coraggioso documentario, quasi pasoliniano, in cui un regista, una giornalista e un cameraman vanno in giro per l’Algeria a chiedere alle persone più disparate cosa sia per loro il paradiso. Proprio quello delle 72 vergini o “Uri” che noi nel primo mondo abbiamo invece imparato a conoscere a nostre spese leggendo i diari deliranti di Mohammed Atta e degli altri suoi complici nell’attentato cataclisma dell’11 settembre 2001.

Loro, gli algerini, che per più di un lustro avevano subito massacri ancora oggi non conosciuti e quantificabili nelle tragiche rispettive entità, avevano dovuto fare le spese già dieci anni prima del “nine eleven” con questa ideologia di morte che promette la vera vita che tutti i giovani arabi vorrebbero su questa terra in un ipotetico paradiso che si può conquistare solo compiendo tragici attentati suicidi nel nome di Allah.

Lo scrittore in questione parla esplicitamente di “porno islamismo” non tanto per il chiaro inquinamento della religione compiuto dai wahabiti “ad usum delphini”, quanto per le latenti e implicite (ma anche esplicite) promesse sessuali contenute nelle parole dei tanti predicatori folli che infestano la rete e che armano le mani, al giorno d’oggi, dei cosiddetti terroristi fai da te. O “homegrown terrorists”. Quelli che hanno raggiunto i miliziani dello stato islamico a Raqqa o ad Aleppo, anche dall’Italia, come quelli che si sono limitati ad emulare i massacri qui in Europa o negli Usa. Usando anche semplici coltelli o furgoni.

Il calcolo cinico dei predicatori di odio e dei politici (soprattutto della vecchia guardia saudita e qatariota) che li finanziano è semplice: usare la tecnologia, i social media, la droga e il sesso come carburante per un terrorismo suicida che non conosce confini e limiti temporali.

A Parigi come a Londra, a Roma come a New York, esiste tutto un ceto di immigrati di seconda o terza generazione che campano vendendo droga, si politicizzano e si auto nobilitano con l’islam wahabita una volta in carcere, e poi, quando qualcuno avrà lavato per bene loro il cervello, facendo credere che in questa vita sarà impossibile realizzare il nuovo ordine mondiale jihadista ma che in quell’altra, grazie a tanti estremi sacrifici, la musica sarà tutta un’altra, ecco che il gioco sarà fatto.

Nell’aldilà ci saranno ben 72 vergini per ogni martire.. la vera bomba atomica made in Islam è così bella che innescata. Mentre noi stiamo ancora qui ad auto colpevolizzarci straparlando di fenomeni ormai storicizzati come il colonialismo.

Gli intellettuali algerini e tunisini, laici ma anche religiosi, per quanto oppressi e costretti a essere minoranza clandestina, questo giochetto lo hanno già scoperto.

Da noi invece impera il pensiero unico delle pasionarie alla Laura Boldrini. O come Papa Francesco che fanno finta di non credere quanto le religioni, non solo l’islam, siano permeabili alle manipolazioni e alle strumentalizzazioni geo politiche.

Un ragionamento che qualcuno definisce sindacal corporativo e che tenta di imputare al capitalismo e ai soldi l’origine di tutti i mali e di tutte le diseguaglianze.

E che diventa veramente contro producente. Dobbiamo metterci in testa che compiangendo e commiserando chi compie attentati, chi incita a compierli e chi tollera che siano compiuti, magari in nome del male che noi occidentali avremmo fatto a suo tempo a questi popoli con il colonialismo, facciamo proprio il contrario che “aiutare questa gente a casa propria”.