Ravenna, ennesima inchiesta travolge un’Autorità Portuale
Questa mattina anche l’Autorità Portuale di Ravenna è stata “decapitata” da provvedimenti giudiziari che hanno decretato l’interdizione dai pubblici uffici del Presidente Daniele Rossi, del segretario generale Paolo Ferrandino e di un altro funzionario dell’Autorità di Sistema Portuale. L’accusa è quella di inquinamento ambientale, abuso e omissione di atti d’ufficio.
L’inchiesta di Ravenna si somma a quelle che hanno travolto le Autorità Portuali, quella di Livorno, dove solo in questi giorni, anche se l’inchiesta penale prosegue, il Presidente del porto è stato reintegrato nel ruolo dal quale era stato interdetto mesi addietro. Si somma all’inchiesta in atto a Napoli, a quella penale che incombe sui porti di Bari e Brindisi, a quella per abuso d’ufficio a Gioia Tauro nonché ai rumours che riguardano anche altre Autorità di Sistema Portuale in particolare nel nord della penisola.
“I casi sono due: o il Ministro Delrio nella scelta dei presidenti e dei segretari delle Autorità di Sistema Portuale ha sbagliato tutto assegnando la governance dei porti a incompetenti o disonesti; oppure la riforma portuale colloca, per la sommatoria di norme e competenze, i vertici delle Autorità di Sistema Portuale in una posizione di martirio certo. Tertium non datur se non l’eventualità di affidare direttamente a magistrati inquirenti la guida di tutta la portualità italiana”. A scendere in campo accendendo i riflettori sul terremoto che sta travolgendo gli scali marittimi italiani con conseguenze devastanti sull’operatività degli stessi e con il conseguente blocco di tutti i più importanti progetti infrastrutturali, è il Presidente di Federagenti, Gian Enzo Duci.
“Nel silenzio assordante della politica – afferma Duci – si sta consumando una vera e propria carneficina nei porti e dei quadri dirigenti che dovrebbero guidarli in un momento per altro delicatissimo in cui le opportunità di ripresa potrebbero trasformarsi nel giro di poche settimane in clamorosi autogol. Oggi, e non è un paradosso, solo un manager con vocazione al martirio o un dirigente che non abbia nulla da perdere e che comunque non possa sperare in nessuna crescita professionale, potrebbe ragionevolmente accettare una carica, a decisione limitata e a rischio illimitato. Una carica che, alla luce dei fatti, della proliferazione delle inchieste giudiziarie, del recente caso Ravenna e dei rischi penali, è lo specchio di una riforma portuale fallita”.
“Se i giudizi sulla governance dei porti, sulla centralizzazione delle scelte in organismi mai attivati – prosegue il Presidente di Federagenti – possono essere oggetto di valutazioni contrastanti, certo la concentrazione di funzioni, competenze in un quadro normativo sconclusionato e tutto da interpretare, hanno creato le premesse per il più grande fallimento della portualità nazionale”.
“Come operatori del settore – conclude Duci – non possiamo non denunciare quella che è ormai una libanizzazione del sistema portuale e le conseguenze che ne stanno già derivando, sia per il blocco di importanti lavori infrastrutturali, sia per la comprensibile e ormai quasi generalizzata tendenza dei vertici, ancora non travolti da inchieste, ad assumere qualsivoglia decisione e a ufficializzarla con una firma”.
Per Federagenti è oggi necessaria quindi una misura di emergenza, tale da evitare che i porti diventino la causa del più importante e insanabile blackout del sistema economico nazionale.