Auto, il bluff europeo sul 2035 dei motori termici

Auto, il bluff europeo sul 2035 dei motori termici

12 dicembre 2025

Manfred Weber annuncia che lo stop ai motori termici nel 2035 “appartiene al passato”. Parole forti, titolo perfetto. Peccato che, come spesso accade a Bruxelles, dietro la retorica non ci sia una vera retromarcia, ma l’ennesima micro-correzione pensata per non sconfessare ciò che fino a ieri veniva difeso come dogma.

La linea che emerge è chiara: nessuna cancellazione dell’obiettivo, solo un suo annacquamento. Una quota del 10% di veicoli non elettrici dopo il 2035, forse. I dettagli arriveranno “più avanti”. Traduzione: il tabù resta, ma si concede una deroga simbolica per salvare la faccia. Politicamente comprensibile, industrialmente devastante.

Il problema non è se il 2035 sia “il passato” o no. Il problema è che, finché quell’obiettivo resta formalmente in piedi, l’incertezza rimane totale. E l’incertezza, in un’industria a cicli lunghi come l’automotive, è veleno puro. Gli investimenti su piattaforme, motori, filiere e occupazione si pianificano su orizzonti di dieci, quindici anni. Se il regolatore manda segnali ambigui – oggi sì, domani forse, dopodomani vediamo – l’unico risultato è bloccare le decisioni. Non si investe, non si innova, si tira a campare.

La “neutralità tecnologica” evocata da Weber suona bene nei comunicati, ma non esiste se resta subordinata a un divieto ideologico scritto nero su bianco. O si cancella l’obiettivo del phase-out, o non lo si cancella. Tutto il resto è fumo. Rinviare, limare, introdurre quote marginali significa solo prolungare l’agonia, non risolvere il problema.

C’è poi un aspetto politico ancora più imbarazzante. Questa marcia indietro mascherata certifica il fallimento della strategia europea sull’auto elettrica: prezzi fuori mercato, filiere dipendenti dalla Cina, domanda che non decolla senza sussidi. Ma invece di ammettere l’errore, Bruxelles preferisce il solito gioco delle tre carte. Nessuno chiede scuse, ma almeno chiarezza.

Dire che il 2035 è “storia” mentre lo si lascia formalmente in vita è l’ennesimo esercizio di auto-assoluzione europea. Un messaggio che non rassicura né l’industria né i lavoratori. Perché l’industria sa leggere tra le righe: finché l’obiettivo non viene davvero cancellato, il rischio resta. E con il rischio, l’esecuzione si paralizza. Anche questa volta, il conto arriverà dopo. E come sempre, non lo pagherà Bruxelles.