Bankitalia e caso Etruria: nell’universo del credito il più pulito ha la rogna
Un giorno verrà studiato dagli storici il ruolo avuto dall’universo umano assai meschino del credito bancario italiano nella nascita dell’anti politica e dei partiti e dei personaggi che con questa categoria dello spirito hanno costruito il proprio successo. Politico ed editoriale.
Anzi salta agli occhi.
Crediti deteriorati che nella magna pars concernono familiari o amici o aziende facenti capo agli amministratori dell’epoca, Bankitalia che spinge per fare comprare la banca da qualcuno (sapendo bene di tirare comunque una mezza sola sia al compratore sia al venditore) e si comporta come una merchant bank più che come un istituto con compiti di vigilanza.
Per non parlare di quel qualcuno dentro lo stesso istituto di via Nazionale, che se la tira tanto come istituzione terza (ma che di fatto è partecipata privatamente da tutti i maggiori istituti bancari italiani da sempre), che suggerisce di coinvolgere il banco di Vicenza che nel lontano 2012 era già in bancarotta a propria volta.
All’epoca c’è chi ricorda il “management“ della filiale più importante a Roma di Banca Etruria rassicurare i propri clienti spingendoli a comprare l’ oro come bene rifugio. A prezzi altissimi.
E questo alla vigilia del crollo del prezzo per via dei traffici e delle vendite massicce all’ombra delle triangolazioni illecite compiute da stati come l’Iran e la Turchia per aggirare le sanzioni a Teheran.
“Tanto ci assorbe la popolare di Vicenza, è cosa fatta, lo vuole Bankitalia anche perché pure loro trattano l’oro come noi e così diventiamo un polo unico”. Un ragionamento che poteva anche filare dal lato logico. E che denota una specie di insider trading da segreto di Pulcinella.
Banchieri e bancari, piccolo particolare, sapevano già che la popolare di Vicenza non era in grado di comprare nessuno e soprattutto di gestirlo. Sia pure pagando un euro ad azione. Quindi la cosa saltò e il resto lo conoscono quasi tutti, almeno per sommi capi.
In questa vicenda su cui alla fine una pezza a colori è stata posta grazie al generoso contribuente italiano, il tutto ovviamente anche per non mandare sul lastrico i correntisti aretini, viterbesi e romani (il triangolo delle Bermuda del core business di Etruria quello era e quello è), basta analizzare i comportamenti di bancari, banchieri, Bankitalia e degli stessi inquirenti aretini , che di fatto non sono riusciti a venire a capo di nulla, per capire di quante delicatezze godano, più che di doverose garanzie giudiziarie, coloro che in Italia hanno spolpato quasi tutte le catene più importanti delle banche popolari.
Catene di istituti su cui adesso si è buttata, su input preciso, come un avvoltoio imperiale Ubibanca. Che ha comprato a un euro ad azione anche Cassa di risparmio delle Marche, oltre che Etruria.
Peraltro punendo i vecchi clienti con la condanna provvisoria al “non diritto” di conoscere il proprio saldo e i propri movimenti nel nuovo home banking. Che ha abolito subentrando quello vecchio delle singole banche dopo la formalizzazione delle fusioni.
Questi comportamenti un giorno verranno studiati dagli storici.
E giudicati probabilmente così: arroganti con gli utenti finali, mendaci e truffaldini con gli azionisti e con gli obbligazionisti e irridenti verso la legge dello stato e i sacrifici erariali dei cittadini, che i bancari, i banchieri e coloro che li vigilano teoricamente, sembrano considerare plebe.
Gli stessi ipotetici storici non potranno che attribuire a questi comportamenti dell’universo bancario italiano la responsabilità di essere stati i “primi motori immobili” della nascita e del consolidamento della fase politica della cosiddetta “anti politica”.
E ai protagonisti negativi di queste porcate verrà imputato di essere stati i mecenati, forse involontari, di chi con questa “anti politica” ha costruito la propria fortuna elettorale, mediatica e persino esistenziale.