
Fincantieri: il futuro sacrificato alle stock option
L’attuale gestione di Fincantieri appare sempre più orientata a un solo obiettivo: massimizzare il valore delle azioni nel breve-medio periodo, anche a costo di compromettere il futuro industriale e tecnologico del gruppo. Il piano di incentivazione basato su stock option con scadenza 2027, concesso all’amministratore delegato Pierroberto Folgiero, ha finito per sovrastare qualsiasi visione di lungo termine. Da qui nasce una strategia centrata sulla fidelizzazione degli organi di stampa, fatta di ottimismo ostentato e agiografia permanente, indipendentemente dai fatti.
Fatti che, però, restano ostinatamente grigi. Da quando Folgiero è al timone, i risultati non brillano, nonostante una congiuntura eccezionalmente favorevole per il settore della difesa e una spinta politica senza precedenti sull’export. Fincantieri resta un gigante solo entro i confini nazionali: dopo la sconfitta in Australia, è arrivata la debacle negli Stati Uniti. A queste si aggiungono le gare perse in Romania, Grecia e Polonia, mentre le forniture a Egitto e Indonesia sono avvenute svendendo unità già in servizio alla Marina Militare, poi costretta a riacquistare a caro prezzo nuove FREMM e PPA, in un ruolo di “cliente prigioniero”.
La capacità di Fincantieri di competere davvero sul mercato militare internazionale appare insomma compromessa. I proclami su accordi miliardari si traducono spesso in Memorandum of Understanding privi di sostanza commerciale o industriale.
Nel frattempo, il settore crocieristico continua a gonfiare il portafoglio ordini con contratti a redditività nulla o negativa, utili solo a costruire una narrazione che scaricherà i problemi oltre il 2030. Anche la retorica sulla subacquea serve più a sostenere il titolo che a descrivere una realtà industriale: gli unici clienti restano quelli obbligati, e persino presunti programmi miliardari, come quello filippino, sembrano esistere solo nei comunicati.
Il piano industriale “hollywoodiano”, con risultati mirabolanti dal 2028 in poi, è arrivato mentre il titolo crollava del 9%. Segno che il mercato non crede più alle dichiarazioni, ma guarda ai numeri: oltre 8 miliardi di produzione per appena 35 milioni di utile netto, celebrati come un trionfo, mentre concorrenti come Leonardo mostrano ben altra solidità. Il buyback del 2025, in questo contesto, appare solo come un regalo al management e alle stock option, non certo una creazione di valore.
Forse la corsa alle stock option è partita troppo presto. La stampa amica non può asservire il mercato all’infinito. E quando il vento del settore difesa cambierà, chi ha puntato solo sulla borsa rischia di restare senza futuro industriale. A meno che, naturalmente, non abbia già incassato tutto.


