Che fine fa il collaterale russo nel piano europeo di aiuti a Kiev?

Che fine fa il collaterale russo nel piano europeo di aiuti a Kiev?

23 novembre 2025

La Frankfurter Allgemeine Zeitung difende lo schema europeo che usa gli asset russi congelati come garanzia per un nuovo prestito all’Ucraina. Molto ottimismo di maniera, ma un punto l’ha ammesso: l’idea di toccare – oggi o domani – i fondi di Mosca sta accelerando la nascita di sistemi di pagamento alternativi. Un effetto boomerang che Bruxelles finge di non vedere.

C’è poi un aspetto che nessuno vuole affrontare: cosa succede allo schema se domani parte un negoziato di pace? Il meccanismo UE è raffinato ma fragile. La confisca non è immediata: l’Unione crea una SPV (cioè una società veicolo), emette un prestito garantito dai futuri contributi degli Stati membri – copia del Recovery Fund – e gira i fondi a Kiev. Gli asset russi restano nei conti di Euroclear, congelati ma formalmente intatti. La confisca scatta solo se l’Ucraina non ripaga.

Tutto molto elegante, finché non arriva la realtà. A un tavolo negoziale, il capo-delegazione russo sarebbe Kirill Dmitriev, numero uno di un fondo sovrano e l’unico del gruppo con un vero background finanziario. Smontare la SPV richiederebbe pochi minuti.

È plausibile che un alleggerimento delle sanzioni entri nel pacchetto, a step. Ma è altrettanto certo che Mosca non accetterà mai il capitolo delle riparazioni di guerra, che è invece l’architrave legale dello schema europeo: la confisca scatterebbe solo se la Russia mancasse un pagamento futuro, così da evitare una violazione diretta del diritto internazionale.

Il problema è che le riparazioni saranno decise al tavolo della pace. E se lì salta il presupposto giuridico, salta tutto il castello europeo. Bruxelles può anche ripetersi che la sua costruzione è “legalmente solida”.
Ma basta un accordo di pace per farla crollare come un soufflé mal riuscito.