
Il piano Trump-Putin per l’Ucraina con un’Europa che predica la pace ma scappa dal conto
In pubblico pontificano sulla necessità della pace, sui “valori europei”, sul multilateralismo, sul diritto internazionale. In privato, però, quando Washington propone un piano in 28 punti per avviare un negoziato serio con Mosca, i ministri degli Esteri europei fanno quello che sanno fare meglio: si indignano, si offendono… e poi scappano. Perché? Semplice: non li hanno avvisati, non li hanno consultati e — soprattutto — un accordo di pace li costringerebbe finalmente a pagare il conto.
Sì, perché al netto della retorica, l’Europa non vuole la pace. E ci sono almeno tre motivi imbarazzanti.
Primo: i soldi. Finché si tratta di sanzioni alla Russia, tutti fieri e compatti. Quando però si passa alla vera questione — finanziare l’Ucraina — le facce cambiano. La lettera di Ursula von der Leyen parla chiaro: 136 miliardi in due anni. E la stima parte dal presupposto che la guerra duri fino al 2026. Se arrivasse un accordo domani, la ricostruzione inizierebbe subito e il conto non solo non scenderebbe, ma salirebbe. E non si parli di “prestiti”: Kiev non restituirà nulla. Tradotto: l’Europa dovrebbe tirar fuori soldi veri. Apriti cielo.
Secondo: le crepe interne. La guerra ha coperto, come una vernice spessa, tutte le spaccature europee. Ma con la pace tornerebbero fuori:
• Berlino vuole cambiare il voto all’unanimità in politica estera;
• Francia e Germania vogliono ridurre i contributi netti;
• i paesi beneficiari non mollano un centesimo.
Una miscela esplosiva che la guerra, finora, ha anestetizzato.
Terzo: il calcolo strategico. Con la guerra in corso, l’Europa può “riarmarsi” senza assumersi la responsabilità di un confronto diretto con la Russia. Comodo, no? Mosca è impegnata in Ucraina e Bruxelles può giocare a fare la potenza militare senza rischiare nulla.
Poi c’è l’ipocrisia. Quando Trump parla con Putin, l’Europa va in tachicardia. Ma sono stati proprio gli europei, nel 2022, a spingere Kiev ad abbandonare i negoziati di Istanbul, dove avrebbe ottenuto un accordo migliore di quello oggi sul tavolo. Ma guai a ricordarlo.
Ora Putin ha cambiato passo: fuori Lavrov, dentro Kirill Dmitriev, uomo di fiducia, formazione a Stanford e Harvard, carriera tra McKinsey e Goldman. Non il solito diplomatico slavato, ma uno che i giochi negoziali li conosce bene. E la macchina negoziale si rimette in moto.
Il piano USA-Russia è stato subito bollato dalla stampa europea come “capitolazione”. Forse lo è. Ma riflette la realtà: l’Ucraina sta perdendo terreno e Putin lo sa. Anche Trump lo sa, ed è pronto a usare la leva diplomatica per ottenere qualcosa prima che la situazione degeneri ulteriormente.
Zelensky, intanto, è più debole che mai. Travolto da scandali di corruzione che imbarazzano perfino i suoi sostenitori occidentali, non può permettersi di dire “no” a nessuno. E l’Europa fa finta che non sia successo nulla, mentre predica ancora il processo per crimini di guerra all’Aia.
La verità è semplice e brutale:
la pace non conviene all’Europa.
Costerebbe troppo, scoprirebbe troppe divisioni e toglierebbe troppe scuse.
Così continuiamo con la solita messinscena: Bruxelles parla di pace, ma lavora per impedire qualsiasi reale negoziato. E chi prova a trattare viene immediatamente richiamato all’ordine.
LA SASSATA

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