
F-Gas, Bruxelles si supera: ecco il regolamento ‘green’ che fa esplodere costi, rischi e…l’industria italiana
L’industria italiana della climatizzazione si prepara a uno shock regolatorio. Il nuovo regolamento UE 573/2024 (“F-gas”), che dal 1° gennaio 2027 vieterà diverse tipologie di prodotti per condizionamento e refrigerazione contenenti gas fluorurati, nasce con l’obiettivo di ridurre le emissioni climalteranti. Ma, nel suo attuale impianto, rischia di produrre effetti distorsivi che colpiscono soprattutto il sistema produttivo nazionale, uno dei più avanzati in Europa.
La norma concentra l’intervento quasi esclusivamente sul Global Warming Potential (GWP) dei refrigeranti, mirando a limitare le emissioni dirette. Ma trascura il peso — ben più rilevante — delle emissioni indirette, quelle generate dall’energia necessaria a far funzionare i macchinari lungo l’intero ciclo di vita, pari a 10-15 anni. Le imprese del settore, da anni impegnate a ridurre la dispersione dei gas, vedono così messa in discussione la logica complessiva degli investimenti effettuati.
Da questa impostazione discendono tre criticità principali.
La prima riguarda il tipo di refrigeranti. Il regolamento spinge verso gas a basso GWP ma ad elevata infiammabilità, come il propano. Una scelta che solleva problemi di sicurezza, costi assicurativi e compatibilità con l’attuale normativa sugli impianti, senza reali benefici sulle emissioni complessive.
Secondo nodo: la minore efficienza energetica. Per ottenere con i nuovi gas prestazioni comparabili ai sistemi attuali servirebbero nuove architetture di scambio termico, riprogettazione profonda dei compressori e un uso massiccio di inverter. Accorgimenti che aumentano i costi e peggiorano — paradossalmente — il bilancio delle emissioni indirette: macchine meno efficienti consumano di più, vanificando parte dell’obiettivo climatico.
Terzo rischio: aumento dei costi e perdita di competitività. L’obbligo di riprogettare l’intera gamma comporta investimenti ingenti, che molte aziende potrebbero non riuscire a sostenere in tempi così stretti. Il risultato sarebbe un calo della produzione, l’ingresso facilitato di player extra-UE e soprattutto la compromissione dell’export, che oggi rappresenta fino al 50% del valore occupazionale del settore. Fuori dall’Europa, infatti, continuerebbero a essere utilizzati sistemi con refrigeranti tradizionali: le imprese italiane non potrebbero più produrli né venderli.
Le possibili mitigazioni esistono, ma richiedono una correzione di rotta. Tre le più urgenti: posticipare l’entrata in vigore delle restrizioni per consentire almeno tre anni di riprogettazione; autorizzare la vendita delle scorte prodotte prima della data limite; e consentire la produzione per mercati extra-UE di apparecchi non conformi alle nuove regole europee, in linea con le normative dei Paesi di destinazione.
Senza questi correttivi, il rischio è chiaro: la transizione ecologica del settore si trasformerebbe in una penalizzazione competitiva per l’industria italiana, senza alcun beneficio per il clima.
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