
UE–Ucraina, il prestito da 140 miliardi di euro che rischia di scoppiare in faccia a Bruxelles
Il maxi-prestito europeo da €140 miliardi, garantito dagli asset russi congelati, nasce con una promessa che molti osservatori considerano illusoria: l’Ucraina non potrà mai rimborsarlo. Il risultato sarà l’escussione del collateral e, quindi, la confisca differita dei beni sovrani di Mosca.
Una mossa che rischia di incrinare la credibilità giuridica dell’UE, frenare le ambizioni globali dell’euro e complicare i negoziati di pace che Zelensky cercherà di riattivare in Turchia.
Nella sua lettera ai leader europei, Ursula von der Leyen chiede di colmare un buco da €136 miliardi per coprire il bilancio ucraino nei prossimi due anni.
Sul tavolo tre opzioni: contributi bilaterali, nuovo debito comune o il prestito “ingegnerizzato” con garanzia russa.
Il problema è che nessuno dispone di margini fiscali per contribuire in modo significativo: Berlino compresa, visto che attualmente è impegnata nella “mission impossible” di risollevare un’economia disastrata.
La tentazione, dunque, è affidarsi agli asset russi: circa €140 miliardi, appunto, parcheggiati soprattutto presso Euroclear a Bruxelles.
La Commissione propone un veicolo speciale che raccolga fondi sui mercati replicando lo schema del Recovery Fund; gli asset fungono da garanzia senza essere formalmente trasferiti.
Ma è una distinzione più semantica che sostanziale. Poiché Kiev non può rimborsare, l’attivazione della garanzia è già incorporata nel disegno del prestito. Una struttura che elude lo spirito del diritto internazionale e rischia di configurarsi come un prestito in malafede.
C’è poi un nodo politico: usare gli asset russi per finanziare la guerra potrebbe diventare un ostacolo alla pace. Mosca pretenderebbe la restituzione dei fondi come condizione minima; ma in ogni accordo di cessate il fuoco nessuna delle parti può apparire sconfitta. Legare quei beni alle spese militari ucraine rende più difficile un’intesa stabile.
L’idea di scambiare denaro con territori è teoricamente possibile, ma difficilmente accettabile per Kiev.
A Bruxelles, il Belgio frena: chiede piena condivisione dei rischi e teme il danno reputazionale di un precedente che potrebbe minare la fiducia degli investitori globali nella piazza finanziaria europea.
Non a caso von der Leyen, dopo un incontro con il premier de Wever, ha parlato di “potenziali effetti collaterali, anche sui mercati finanziari” e della necessità di contenere la percezione internazionale di una confisca.
Il punto politico è più ampio. L’UE discute gli strumenti — contributi nazionali, eurobond, prestito garantito — senza definire l’obiettivo strategico. Cosa vuole davvero ottenere? Con quali risorse? E con quali conseguenze diplomatiche?
L’Europa si trova a finanziare una guerra e una futura ricostruzione senza aver costruito i fondamenti fiscali e geopolitici necessari.
Il prestito da €140 miliardi rischia così di diventare il simbolo di un’Unione che pensa alla prossima mossa tecnica, non all’esito finale: una struttura complessa, politicamente divisiva e potenzialmente destabilizzante, che minaccia di trasformarsi in un boomerang per Bruxelles.
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