Campania, crisi edilizia: segnali di ripresa (ma con fatica)

Il settore edile in Campania, un po’ come nel resto d’Italia, fatica a tornare ai livelli antecedenti al 2007, il periodo pre-crisi. Oltre 600mila posti di lavoro persi in Italia. Quasi la metà dei quali nel sud.

Gli ultimi dati disponibili che risalgono al 2017 ci parlando di circa 118mila e settecento occupati tra le cinque province Napoli, Salerno, Avellino, Caserta e Benevento che rappresentano nella regione circa il 33 per cento rispetto all’industria e quasi il sette per cento se considerati in confronto all’intero ciclo economico.

Quindi ancora un settore trainante al netto delle problematiche nazionali comuni sugli appalti, che partono dal famigerato codice voluto dal governo Renzi. Insieme alla costituzione dell’Anac che di fatto ha preso il posto del precedente organismo che si chiamava Autorità nazionale di vigilanza sugli appalti. E anche nel semplice “nomen”, fa presente la responsabile Ance di Napoli, Federica Brancaccio, è contenuta la maledizione (“omen”) del tutto: “siamo passati da un’autorità che doveva vigilare a un’altra che presuppone la corruzione negli appalti pubblici, il segnale non è di quelli che favoriscono l’espansione degli investimenti”.

Se a questo aggiungiamo l’impossibilità riconosciuta a intermittenza dallo stesso Cantone di applicare questo benedetto codice laddove pretenderebbe progetti esecutivi che nessuno però è in grado di produrre e di commissioni sull’aggiudicazione degli appalti, che sono ancora tutte o quasi da formare, si capisce perché al Sud come nel resto della penisola la percentuale del 44% di opere pubbliche ferme al palo sia quella con cui confrontarsi. Se non sbattere la testa.

Anche e soprattutto perché questi tassi e queste cifre si rivelano drammatiche nella ricaduta occupazionale. “Il rischio – dice il responsabile Ance della Campania Gennaro Vitale – è quello di togliere alla Campania e a tutto il Meridione un volano fondamentale per la crescita e la pace sociale, in territori dove oltretutto il richiamo della criminalità organizzata verso chi ha perso ogni speranza di lavoro è molto simile a quello della foresta”.

In pratica in nome della legalità si rischia di consegnare manovalanza alla camorra. E tanto per legare le parole ai numeri va precisato che tra il 2008 e il 2016 in Campania, secondo uno studio Ance del novembre 2018, le imprese edili “uscite dal settore” (cioè chiuse) sono state 5186, con un tasso di decrescita infelice di oltre il 14 per cento.

Attualmente le imprese di costruzione in Campania sono 31.823 che diventano 23 mila e 26 al netto di quelle che si occupano di installazione impianti. Oltre il 59,6 per cento di queste aziende gestiscono lavori il cui fatturato non supera i 500mila euro, mentre quelle che ne hanno uno che superi i 20 milioni sono appena il 2,6 per cento.

E infatti sono 16.738 le aziende con un solo addetto e 13.607 quelle che impiegano tra le due e le nove persone.  Mentre con 50 o più sono solamente 86 in tutta la Campania. E questa è la radiografia un po’ deprimente, anche se qualche sacca di ottimismo non manca, della regione tra opere pubbliche ed edilizia. Un ultimo dato , anche esso drammatico per la ricaduta sociale ed occupazionale, è la variazione in negativo dei permessi di costruire tra il 2015 e il 2017: -75,8%.

Se poi si considera il diagramma in picchiata dal 2007 ai giorni nostri, siamo passati da 13 e 130 permessi di costruire ai 3.408 del 2016. Con una lievissima – stimata – ripresa nel biennio seguente. Con questi numeri però, e con questa stasi praticamente paralizzante, la crisi non si supera. Certo non nel breve periodo.

 

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