
DIFESA: settimane decisive per l’industria europea (5% del PIL) e italiana (vendita IVECO Defence)
Da un lato a l’Aia, in Olanda, ci sarà il vertice Nato che sancirà l’accordo – dietro spinta statunitense – sull’aumento della spesa militare aggregata del singolo paese membro (32 stati) al 5% del Pil che sarà raggiunto con un 3,5% per le esigenze militari fondamentali entro il prossimo decennio, e l’1,5% in una categoria più flessibile di spese legate alla difesa come infrastrutture e cybersicurezza.
Dall’altro, in Italia – baricentro Roma – proseguono spedite le trattative su Iveco Defence Vehicles (IDV). Interlocuzioni che hanno coinvolto nei giorni scorsi i massimi vertici delle istituzioni italiane (Palazzo Chigi e Ministero della Difesa in primis) e dei tre contendenti (Leonardo-Rheinmetall; KNDS; CzechoSlovak Group o CSG).
Una competizione accesa ed intensa su cui i gruppi stanno provando a mostrare ed esplicare la propria efficacia finanziaria ed industriale per acquisire quella che ad oggi è l’unica azienda al mondo potenzialmente contendibile sul mercato che produce questa tipologia specifica di prodotti. Cosa che rende l’Italia un osservata speciale in un momento particolare ed unico della difesa e della sicurezza mondiale.
La settimana scorsa al Salone internazionale dell’aeronautica e dello spazio a Le Bourget, a nord di Parigi, le dichiarazioni del CEO di Leonardo, Roberto Cingolani, avevano preceduto quelle del Ministro della Difesa Guido Crosetto.
Il “professore”, come lo chiamano a piazza Montegrappa, aveva detto che l’azienda da lui guidata, attraverso la joint venture con Rheinmetall, è nella seconda fase del processo per l’acquisizione di IDV e che l’intenzione è comunque quella di presentare “un’offerta equa”.
Crosetto, interpellato dai giornalisti sullo stesso tema, aveva risposto condividendo l’aspettativa sul mantenimento dell’italianità di IDV, essendo una parte importante dell’industria nazionale, ma aggiungendo che “occorre anche una maggiore integrazione industriale europea nel settore della difesa. Ben vengano – aveva proseguito- le cooperazioni con Francia, Germania, Spagna come abbiamo nel settore missilistico. Poi come costruire queste cooperazioni è una cosa più complessa perché non è una scelta politica, ma passa attraverso scelte industriali di società spesso quotate in borsa”. E concludendo con l’auspicio che “il modello MBDA contamini tutti i settori dell’industria europea”.
Ma precisamente qual è e come si tutela l’interesse nazionale italiano trovando il giusto bilanciamento con le dinamiche di mercato in un momento in cui l’industria mondiale delle armi sarà la fonte di investimenti cospicui a livello globale in tutto l’occidente (e non solo)?
I nodi da sciogliere su cui la politica e i gruppi interessati a IDV stanno facendo il loro gioco sono due: sicurezza della catena industriale e degli approvvigionamenti e concentrazione del mercato.
Sul primo pende il tema della Golden Power, la normativa che prevede l’esercizio dei poteri speciali da parte del governo al fine di evitare l’acquisizione “ostile e/o predatoria” da parte di soggetti stranieri. Ricordiamo che questa nacque e fu potenziata – soprattutto durante e dopo il Covid – per evitare le razzie di attori extra europei (prevalentemente cinesi o comunque esterni al blocco Nato) verso quelle realtà produttive ritenute strategiche per la sicurezza socio-economica della nostra Nazione.
Sul secondo nodo invece emergono, nell’ambito delle trattative con la politica italiana, le questioni di Antitrust Europea che potrebbero indirizzare verso un contendente piuttosto che un altro l’esito finale del potenziale deal.
Leonardo ha formulato insieme a Rheinmetall un’offerta – la più bassa in una prima fase interlocutoria – forte della sua nuova JV con il gruppo guidato dal “Kaiser” Papperger (presentatosi abbronzatissimo alla calda parata del 2 giugno ai Fori Imperiali) e della sua italianità. Su questi, lo scetticismo di Chigi e della Difesa è relativo al fatto di concentrare in un unico soggetto (a guida tedesca) la fornitura della logistica terrestre: i camion per lo spostamento delle truppe che al momento sono prodotti nello stabilimento di Piacenza. Il gruppo con sede a Düsseldorf ha infatti intrapreso un’aggressiva espansione ed acquisizione della capacità produttiva nel continente e ad oggi ha una quota di mercato dei camion militari molto alta.
A chi darebbe la priorità Rheinmetall nelle forniture in caso di conflitto: allo stato maggiore tedesco o a quello italiano?
KNDS dimostra di essere seria e determinata non solo sulla parte finanziaria (offerta maggiore rispetto alle altre) ma anche sulla parte industriale. Metterebbe sul piatto come contropartita anche altri investimenti produttivi cruciali per la difesa nazionale: ad esempio il potenziamento di uno stabilimento a Sud di Roma pronto ad aprire, con fondi europei, una nuova linea di produzione della nitrogelatina per armare ordigni e proiettili. Inoltre il gruppo franco-tedesco è ad oggi il fornitore preferito della Nato per quanto riguarda lo standard di riferimento dei carri armati: il Leopard.
La multinazionale CSG, con sede in Repubblica Ceca e di proprietà dell’imprenditore Michal Strnad, attiva nei settori della difesa, dell’aerospazio, della mobilità e delle munizioni ha già acquisito in Italia – gestendo con successo la procedura prevista dalla Golden Power – realtà come Fiocchi, Baschieri & Pellagri, Perazzi. È una realtà eclettica, dinamica ed in forte espansione a livello internazionale con stabilimenti oltre all’Italia in Repubblica Ceca, Slovacchia, Stati Uniti, Regno Unito, Spagna, India e Serbia.
La curiosità da parte di tutti gli addetti ai lavori è generata da questa domanda nell’aria: cosa succederebbe – sfatato il mito dell’esclusiva dell’italianità detenuta solo da Leonardo-Rheinmetall ed avendo dimostrato che sono affidabili e hanno un certo appeal verso le istituzioni nostrane anche gli altri due – se KNDS e/o CSG dovessero continuare a formulare un’offerta maggiore (si parla di 2 miliardi di euro contro l’1/1,5 dei competitor)?
Insomma la seria e sana competizione va avanti veloce e rispetta l’obiettivo del gruppo Iveco guidato da Olof Persson – e avente come azionista Exor, la holding guidata da John Elkann – di trovare una nuova sistemazione per IDV entro l’anno se non prima.
Intanto va dato atto sia al governo italiano che ad Exor di essere stati in grado fin qui di muoversi con responsabilità, concretezza, capacità di visione e spirito collaborativo.
Cosa non scontata qualche tempo fa. A tutti interessa molto che venga fatta una operazione che tenga conto dei vari interessi in gioco e tuteli l’azienda nel suo futuro assetto proprietario.
Nel caso in cui le offerte non dovessero soddisfare gli obiettivi pubblicamente dichiarati ad inizio febbraio, a quanto risulta a Sassate, la strada dello spin-off e di una successiva quotazione in Borsa (su cui Persson ha continuato – e continua – a lavorare in questi mesi), resta valida e concreta.