Ex-ILVA: tutto quello che i media non raccontano sulle offerte dei gruppi stranieri
Per l’ex-ILVA “sebbene il termine stabilito non sia da considerarsi perentorio, eventuali proposte che dovessero pervenire successivamente saranno valutate esclusivamente qualora presentino condizioni particolarmente favorevoli per la procedura in corso”.
Il processo di vendita dell’impianto sembra partire in salita, a giudicare almeno dalle dichiarazioni dei commissari straordinari al termine della scadenza per la presentazione delle offerte. Dichiarazioni che sconfessano i toni trionfalistici del Ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso.
Tra le offerte ricevute, tre sono per tutti i complessi aziendali: la cordata azera di Baku Steel Company Cjsc + Azerbaijan Investment Company Ojsc, quella statunitense di Bedrock Industries Management Co Inc e quella indiana di Jindal Steel International; sette, invece, le offerte interessate a singoli asset, tra cui quelle dai gruppi Marcegaglia, Eusider e Sideralba.
A quanto apprende Sassate, l’offerta azera risulta quella più alta. Il problema è che Baku Steel, da un punto di vista industriale, non sembra essere il miglior candidato per l’acciaieria di Taranto. Per i seguenti motivi:
1) Tecnologia e livelli produttivi: Baku Steel è un operatore specializzato nella gestione di mini acciaierie a forno elettrico (EAF), che mal si attaglia alla gestione di uno stabilimento siderurgico integrato di grandi dimensioni, basato su altoforno, come quello di ILVA. Tanto per dare un’idea, Baku Steel ha una capacità produttiva attuale di soli 800 mila tonnellate, livelli produttivi ben lontani dai 6 milioni di tonnellate richiesti a Taranto per tornare a stare in piedi da sola.
2) Tipologia prodotti: Baku Steel è il più grande produttore di acciaio nella regione del Caucaso per prodotti lunghi utilizzati in larga parte nel comparto delle costruzioni: un mercato completamente diverso rispetto a quello dell’ex-ILVA, composto da prodotti piani per i settori dell’automotive, cantieristica, metalmeccanico a maggiore valore aggiunto.
3) Logistica: Baku Steel si trova in una regione senza sbocchi sul mare, il che comporta significative sfide logistiche e alti costi di trasporto per materie prime come minerale di ferro, coke e fondenti, necessari per le operazioni basate su altoforno. Gli altiforni di ILVA dipendono da una catena di approvvigionamento robusta e da un’ampia infrastruttura portuale, che Baku Steel non può supportare senza investimenti aggiuntivi significativi.
4) Approvvigionamento e costi delle materie prime: A differenza di ILVA, che si basa su minerale di ferro grezzo e coke, le operazioni di Baku Steel utilizzano il rottame ferroso come materia prima. Per sostenere le operazioni di ILVA, sarebbe necessario garantire contratti a lungo termine con miniere: una strategia che richiederebbe un investimento immediato di 3–4 miliardi di euro, il che potrebbe portare a difficoltà finanziarie per Baku Steel.
5) Gap nella forza lavoro e nelle competenze: ILVA impiega circa 10.600 lavoratori, mentre la forza lavoro di Baku Steel è inferiore di un quarto.
6) Sfide ambientali e di manutenzione: Baku Steel, specializzata nei processi EAF a basse emissioni, manca dell’infrastruttura e delle competenze necessarie per gestire l’elevata quantità di emissioni di CO2 dell’ILVA. Inoltre, le operazioni basate su altiforni richiedono un capitale significativo per la manutenzione che non è in linea con il modello di mini-acciaieria di Baku Steel.
7) Disallineamento strategico: La strategia aziendale di Baku Steel è incentrata su una produzione flessibile e sostenibile, sfruttando la tecnologia EAF per mercati di nicchia e richieste regionali. ILVA, in quanto impianto basato su altiforni, serve mercati globali con prodotti ad alto volume destinati a industrie come l’automotive e la cantieristica navale.
8) L’unico punto di forza: l’energia. La principale ragione della partecipazione di Baku Steel è il forte sostegno del governo per la fornitura di gas. Il principale vantaggio degli azeri insomma risiede nell’accesso a una fonte di energia a basso costo.
Perplessità insistono poi anche sull’offerta di Bedrock, braccio finanziario americano della canadese Stelco, che sebbene abbia inoltrato l’offerta di acquisto non ha ancora presentato il piano industriale.
E a giudicare proprio dal piano industriale, l’offerta più solida risulta essere quella di Jindal Steel. Con 12,6 milioni di tonnellate di acciaio prodotte annualmente, risorse minerarie e infrastrutture logistiche (tra cui la più importante miniera di carbone da coke dell’Africa e un porto d’altura in Mozambico), Jindal Steel offre un’ottima integrazione. L’impianto per la produzione di preridotto green da 5 milioni di tonnellate annue in Oman potrebbe inoltre rappresentare un pilastro nel percorso di decarbonizzazione dell’ILVA.