
Ex-ILVA : un piano senza gas e senza investitore, ma con tanta propaganda
Il piano Urso per l’ex Ilva è l’ennesimo esercizio di propaganda spacciato per strategia industriale. Presentato come un accordo “storico” tra governo, Regione Puglia e Comune di Taranto, il documento che si vorrebbe firmare non è né un accordo di programma né uno strumento vincolante: è un semplice accordo interistituzionale, previsto dal decreto 152/2006, utile solo a velocizzare l’iter dell’AIA, che nel frattempo il ministero è già stata rilasciata. Dunque, firma o non firma, nulla cambia.
Eppure il ministro Urso ha caricato questo testo di una valenza politica spropositata, tentando di scaricare ogni responsabilità sugli enti locali. Chi non firma – è il sottinteso – vuole chiudere Ilva. Ma è falso: Ilva è già tecnicamente chiusa, con metà dei lavoratori in cassa e l’impianto che arranca tra cause legali, ricorsi e fornitori sempre più inviperiti. Non a caso il sindaco Bitetti ha preferito dimettersi piuttosto che prestarsi al gioco.
Il piano da 9,3 miliardi – cifra svelata a porte chiuse e senza copertura – prevede 3 forni elettrici, 4 impianti Dri e un desalinizzatore galleggiante, ma ignora le basi: chi mette i soldi? Chi è l’investitore? Qual è la sostenibilità energetica e logistica dell’impianto? Non si sa. Nel frattempo si continua a raccontare ai sindacati che sarà la più grande acciaieria green d’Europa. Ma senza investitori, e con un rigassificatore che nemmeno è citato nell’accordo.
Siamo di fronte all’ennesimo copione già visto: promesse senza fondamento, occupazione garantita solo via cassa integrazione e formazione, zero reintegri reali. È lo schema perfetto per prendere tempo, scaricare colpe e intestarsi successi immaginari. Finché c’è una firma, c’è speranza. Anche se è solo in calce a un foglio vuoto.
Se al fallimento del piano su Taranto (accolto probabilmente positivamente dagli ucraini di Metinvest, impegnati a sviluppare il sito di Piombino) sommiamo anche la débâcle della vendita della divisione civile di Iveco agli indiani di Tata, non è forse un’esagerazione pensare al Ministro Urso come il Ministro dell’eutanasia industriale.