
Fincantieri, l’ottimismo di facciata e la realtà che non torna
L’articolo uscito oggi sul Sole 24 Ore sembra più un comunicato stampa che un’analisi giornalistica: la “rimodulazione” del contratto con la US Navy viene presentata come una scelta strategica, quando in realtà è il risultato di un programma in affanno.
Sia chiaro: le colpe non sono solo italiane. Gli americani hanno cambiato più volte requisiti e standard, generando ritardi e costi extra. Ma questo non basta a nascondere i problemi interni. La prima fregata, teoricamente in consegna nel 2026, sarebbe oggi a circa il 12% di avanzamento. Una percentuale che non permette nessuna narrazione ottimista.
Tra le ragioni del ritardo vi sarebbe la mancanza di manodopera specializzata. Ma com’è possibile che un AD del calibro di Pierroberto Folgiero firmi un contratto da oltre 5 miliardi e avvii investimenti giganteschi a Marinette senza avere certezza delle risorse umane necessarie? Ora la domanda è: che fine farà Marinette? Asset strategico o investimento sovradimensionato in cerca d’autore?
Il tema della supply chain peggiora lo scenario. Dal 2026 l’acciaio importato da Fincantieri costerà dal 20 al 30% in più a causa di CBAM e nuove salvaguardie europee. E pensare che pochi mesi fa lo stesso Folgiero, con il Governo in coro, assicurava che “il problema dell’acciaio per Trieste è superato”. Una previsione già smentita dai fatti.
Insomma, dietro la patina comunicativa, Fincantieri naviga in acque molto più agitate di quanto si voglia far credere.
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