
Un altro fallimento europeo: BRICS+ al comando della COP30
La COP30 di Belém è stata il primo vero crash test del nuovo mondo multipolare. E l’Europa ne è uscita come un’auto d’epoca in un’autostrada a 6 corsie. L’assenza degli Stati Uniti ha lasciato Bruxelles senza il suo alleato naturale, ma il problema è stato un altro: l’UE continua a credersi “leader climatica” mentre il baricentro negoziale è ormai saldamente in mano ai BRICS+ (Arabia Saudita, Iran, Etiopia, Egitto, Emirati Arabi Uniti, più gli altri in attesa di poter supportare Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica).
La diplomazia europea è partita zoppa. I piani climatici dei Paesi membri sono stati presentati in ritardo, quando la COP era già iniziata: zero tempo per costruire alleanze, zero margine per negoziare. Il risultato? Un muro contro muro con l’asse guidato dall’Arabia Saudita, spalleggiata da Russia e India. Solo minacciando il veto sul testo finale Bruxelles ha strappato una menzione – vaga e senza obblighi – all’uscita dai combustibili fossili. Una vittoria di Pirro subito neutralizzata dai produttori di petrolio: la transizione sarà “volontaria”, cioè carta straccia.
Le spaccature interne all’UE hanno fatto il resto. Quando Colombia e altri 81 Stati hanno lanciato una roadmap per l’abbandono dei fossili, l’Europa non c’era: Italia e Polonia hanno bloccato tutto. Stesso copione per la lettera dei 29 Paesi che chiedevano maggiore ambizione nella bozza finale: dieci governi UE – tra cui Grecia, Ungheria, Italia e Slovacchia – si sono sfilati. Ursula von der Leyen, nel frattempo, al G20 rassicurava che l’UE non combatte i fossili, ma solo le emissioni. Tempismo impeccabile.
Il bilancio europeo è un rosario di fallimenti: la roadmap sulla deforestazione è stata cancellata, le clausole sui minerali critici sono state affondate da Cina e Russia, la finanza climatica per il Sud globale è evaporata nei corridoi. Ma la stoccata decisiva arriva da Pechino: nel testo finale è stata inserita la clausola che vieta misure climatiche usate come “restrizioni mascherate al commercio”. Tradotto: un attacco frontale al CBAM europeo, che entra in vigore nel 2026.
Mentre l’UE difende un meccanismo doganale che nessuno fuori da Bruxelles vuole, la Cina ha trasformato la COP in un gigantesco showroom: pannelli solari, turbine, auto elettriche. Altro che negoziati ONU – per Pechino, decarbonizzare significa vendere tecnologia e conquistare mercati. Gli europei hanno sperato in un fronte comune con la Cina contro i petrolieri. Illusi: Pechino è alleata solo dei suoi interessi.
La verità è che l’ordine climatico globale è cambiato. I BRICS+ parlano con più voce, i paesi petroliferi dettano i tempi, le piccole isole – un tempo alleate fedeli dell’Europa – ora guardano altrove. Belém ci lascia una fotografia impietosa: l’UE prova ancora a guidare, ma nessuno la segue più. E il mondo, semplicemente, non aspetta.


