
Il concorso per guida turistica e la frittata della Santanché
Non sappiamo se la ministra Daniela Santanché sia una buona cuoca (o se lo siano i/le dirigenti del ministero del Turismo). Di certo le frittate (quantomeno certe frittate) le vengono più che bene. Benissimo.
Vediamo subito la ricetta. Prendiamo il concorso per Guida Turistica, fermo da 10 anni. Quasi trentamila italiani vogliono farlo e si iscrivono. Il ministero, impegnato in una corsa contro il tempo per non perdere i contributi del PNRR (forse si terrà a settembre) decide di dare il meglio di sé. E così, uno o più dirigenti si esibiscono con idee un po’ confuse su che cosa vada richiesto ad una guida. Frulliamo il tutto e la frittata è – appunto – fatta.
Usciamo dalla metafora. Ottima cosa che si decida finalmente di organizzare un concorso atteso da una vita. Un bel 7+ alla ministra. Primo e unico voto positivo in tutta questa storia. Da ora in poi, le deluge.
In ossequio alle normative europee si abbassano le competenze per parteciparvi. La laurea non è più obbligatoria. Basta il diploma di scuola superiore. La qualità dei contenuti va giù in picchiata. Ti aspetti quindi un esame di livello globalmente più basso, più accessibile. No. Per recuperare capacità di selezione (forse), parte un cervellotico quanto assurdo programma per un esame che – c’è da giurarci – nemmeno gli esaminatori riuscirebbero a superare.
Impietosa la sintesi che fa l’AGTA, l’Associazione delle guide turistiche abilitate: “Il programma è basato su 537 luoghi di 20 regioni d’Italia, il 90% dei quali completamente inutili per i candidati e che potranno essere cancellati dalla loro memoria subito dopo l’esame, perché relativi alle altre 19 regioni in cui non lavoreranno.
Quindi, inutilmente nozionistico, perché richiede loro di memorizzare informazioni su centinaia di luoghi dove non sono mai stati e dove non andranno mai, senza una logica e senza fornire dati e strumenti utili ai fini dello svolgimento della professione. Oltretutto, anche contro quanto previsto dalla legge, la fonte primaria, che per l’esame scritto e orale prevede chiaramente ‘materie’, non siti”.
Sarebbe interessante assistere ai dirigenti del ministero impegnati nell’arrampicata sui vetri insaponati per spiegarti come può un candidato conoscere 537 siti (oltre a tutte le altre nozioni richieste) alcuni dei quali nemmeno aperti al pubblico.
Non risulta agli atti che una guida turistica venga prelevata all’improvviso e con la forza dalla propria abitazione, trasportata in una località qualunque della Penisola e obbligata a descrivere uno qualsiasi dei 537 siti in programma. Chiunque chiamato a fare una visita guidata si prepara prima documentandosi. È fondamentale conoscere la Storia, l’Arte, la morfologia dei territori, la legislazione (tutte materie – insieme ad altre – comprese nel programma). Non è per nulla fondamentale memorizzare 537 siti dei quali solo una minima parte saranno oggetto dell’attività della guida (conoscerà ovviamente quelli della regione nella quale abita o svolge la propria attività).
E allora perché questa follia? Vogliamo escludere screziature psichiatriche in chi ha partorito il programma. L’intento è falcidiare i 30 mila candidati? Ci può anche stare ma la strada è quella di essere severi e inflessibili sulle materie di base. Conoscere ogni dettaglio di Firenze, Roma o Napoli ed essere bocciati per il Parco archeologico di Ocriticum o magari per un tempietto nemmeno aperto al pubblico è un’assurdità indecente.
Esattamente come è assurdo cucinare una pessima frittata. È un piatto semplice e gustoso: bastano uova, formaggio, olio, sale. E un pizzico di buon senso. Quello serve sempre.
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