Il cronometro per l’egemonia: la sfida tra Washington e Pechino

Il cronometro per l’egemonia: la sfida tra Washington e Pechino

04 novembre 2025

La Cina è lontanissima dal rinunciare alle sue ambizioni su Taiwan o dal rallentare la sua corsa al riarmo. Anzi: dietro l’apparente calma diplomatica si nasconde una voragine contabile lasciata dal crollo immobiliare, che Pechino tenta di coprire spingendo sull’unico motore che le resta: il surplus commerciale.

Trump lo sa bene. E sa anche che le condizioni minime per una vera distensione con Xi semplicemente non esistono. Il consenso di Washington, poi, non cambierà rotta finché la Cina sarà percepita come una minaccia esistenziale all’egemonia americana.

Molti faticano a capire perché sostengono che Trump non possa — o non voglia — “prendere tempo” e accontentarsi di una tregua apparente. Il punto è che la Cina ha un cronometro che scorre: non solo per ragioni demografiche o per l’ossessione personale di Xi, ma perché la domanda interna è ormai asfittica. La legittimità del Partito comunista cinese si fonda sulla crescita economica, e oggi quella crescita può venire solo dall’export.

Il problema è che l’Occidente non può più assorbire quella montagna di merci. Di conseguenza Pechino sarà costretta a imporre ai vicini asiatici la propria produzione in eccesso — e per farlo serve un bastone militare credibile. Hanno provato con le mazzette, ma è andata male. Ora vogliono farsi rispettare con le navi da guerra, e questo non sarà possibile finché non avranno sfondato la prima catena di isole.

E qui nasce la contraddizione americana: Trump elogia Xi in pubblico, ma nel frattempo lavora per tagliare i canali di sbocco dell’export cinese verso gli Stati Uniti. Peccato che quei canali si stiano esaurendo. Quando, nei prossimi mesi, scatteranno davvero i controlli contro le triangolazioni commerciali, l’economia cinese rischia di entrare in picchiata. E quando accadrà, la Cina reagirà male — perché dovrà farlo, perché non può permettersi di mostrare quel buco enorme sotto il tappeto.

Se invece lo status quo resterà intatto e i controlli non verranno applicati, allora avremo un declino lento ma inesorabile. Stesso buco, ma coperto da una foglia di fico. E prima o poi, durante la presidenza Trump, l’esercito cinese raggiungerà la soglia critica per sentirsi pronto a prendere e tenere Taiwan. Quel giorno lo farà. Perché non avrà alternativa.

E allora immaginiamo lo scenario: Trump evita di toccare le triangolazioni per non pesare sul consumatore americano o sui mercati azionari, e si ritrova con la bandiera cinese su Taipei. Che succede il giorno in cui gli Stati Uniti si scoprono impotenti a difendere Taiwan? Succede che Giappone, Australia, Corea e Filippine correranno a dotarsi della bomba atomica. Succede che tutti venderanno Treasury americani. Succede che Wall Street crollerà del 30%. E che, nel frattempo, il consumatore americano soffrirà comunque perché il Dipartimento di Stato imporrà sanzioni alla Cina.

L’Europa? Si limiterà a un comunicato indignato sulla democrazia per poi dire, con eleganza, “arrangiatevi”. E ogni banca centrale del pianeta si precipiterà a comprare oro e a liberarsi degli asset americani.

Morale: Trump non ha il lusso dell’attesa. Può solo agire in modo preventivo o passare alla storia come il presidente che fece perdere agli Stati Uniti la loro egemonia.

E chi pensa che il “consenso di Washington” non abbia già ragionato su tutto questo, non ha mai davvero ascoltato i loro panel o letto tra le righe dei loro documenti.

Siamo ancora all’inizio.
Ma il cronometro, quello, sta già correndo.