La Farnesina, anello debole dell’atlantismo di Palazzo Chigi

La Farnesina, anello debole dell’atlantismo di Palazzo Chigi

09 novembre 2025

Nel governo Meloni c’è un ministero che continua a giocare una partita tutta sua, come se la politica estera fosse un passatempo da aperitivo e non un campo di battaglia strategico: la Farnesina.

L’ultimo episodio è avvenuto a Shanghai, durante il “China-Italy Business Matchmaking” organizzato nell’ambito dell’ottava China International Import Expo (CIIE). Lì, una ventina di aziende italiane hanno incontrato giganti cinesi per “delineare un quadro vivace di cooperazione e creazione congiunta del futuro”.

Non solo. Palazzo Chigi cerca su diversi fronti di liberarsi della morsa cinese. Sta mettendo alla porta i cinesi di Sinochem nell’azionariato di Pirelli, bloccando l’ingresso di JD.com nella grande distribuzione elettronica e studiando il da farsi sulle nostre reti strategiche, dove China State Grid è azionista strategico dal 2014 e fa di Terna, SNAM e Italgas degli appestati in Occidente. Chiedere a SNAM, la cui acquisizione di OGE in Germania è osteggiata dalle autorità di Berlino proprio in ragione della presenza cinese nell’azionariato di SNAM e nel suo CdA.

Ebbene, in questo contesto piuttosto complesso, la Farnesina ha pensato bene di mandare a Shanghai la sottosegretaria Maria Tripodi (Forza Italia) a fare da claque alle aziende italiane e, indirettamente, al soft power economico di Pechino. Tanto più che ad accogliere gli italiani c’era JD.com, la concorrente cinese di Amazon evidentemente ansiosa di recuperare terreno e mostrare che l’acquisizione di MediaWorld è cosa fatta.

Un tempismo perfetto per i cinesi.

Insomma, da un lato il governo spinge per una postura più coerentemente atlantista: fuori dalla Via della Seta, vigilanza su partecipazioni strategiche e controllo delle filiere sensibili; dall’altro, il MAECI si comporta come se nulla fosse, applaudendo con entusiasmo il “successo della cooperazione economica sino-italiana”, in un evento che la propaganda cinese ha prontamente rilanciato come prova del “consolidamento dei rapporti bilaterali”.

È la solita storia: Roma dichiara fedeltà all’alleanza occidentale, ma poi lascia che la Farnesina mandi in giro messaggi opposti.

Mentre Washington e Bruxelles osservano con crescente sospetto le aperture economiche europee verso Pechino, il nostro ministero degli Esteri continua a confondere la diplomazia con il turismo d’affari.

Il risultato è un governo che parla con due voci: una, quella di Palazzo Chigi, che cerca di tenere la barra dritta in un contesto di competizione strategica globale; e l’altra, quella del MAECI, che sembra più preoccupata di non dispiacere ai partner cinesi che di difendere la coerenza della linea italiana.

La Farnesina si conferma così l’anello debole della postura atlantista del governo Meloni.

Finché non ci sarà un chiarimento politico serio — su chi decide davvero la politica estera italiana — Pechino continuerà a raccogliere dividendi dalla nostra ambiguità.

Mentre a Roma, tra un applauso e un buffet, si continua a scambiare la diplomazia economica per ingenuità geopolitica.