In questi giorni c’è un forte dibattito sull’accordo raggiunto tra Silvio Berlusconi, Giorgia Meloni e Matteo Salvini che sancisce la resurrezione della coalizione di centrodestra, soprattutto in ordine alle dichiarazioni di vittoria di Salvini rispetto l’abolizione della legge Fornero che è stata la pregiudiziale politica posta dal leader della Lega per far parte della coalizione.
E’ stato lo stesso segretario della lega a comunicare che nel programma di governo del centrodestra ci sarebbe stata l’abolizione della legge Fornero. Lo ha fatto con un tweet messo in rete alle ore 5:49 del pomeriggio di domenica 7 gennaio, praticamente appena fuori del cancello di Villa San Martino ad Arcore. Il messaggio era il seguente: “Cancellazione della legge FORNERO nel programma del centrodestra: missione compiuta.#4marzovotoLega”.
Rivendicando le battaglie giornalistiche fatte contro l’approvazione della legge che porta il nome della professoressa Fornero e, ritenendo che il male peggiore di quella legge non era l’innalzamento dell’età pensionabile ma il metodo con il quale questo requisito diveniva immediato e penalizzante per molti lavoratori, è bene chiarire alcune cose.
Dobbiamo ricordare che la legge Fornero rispondeva ad un requisito, per l’innalzamento dell’età, che era stato già “giuridicamente istituzionalizzato” e che portava il nome di “adeguamento alle speranze di vita”. In parole povere, considerato che, fortunatamente, la vita delle persone si è allungata, anche il periodo di accesso al beneficio pensionistico doveva adeguarsi a questo “privilegio” che la vita “concede” agli Italiani.
Ora in tanti dimenticano, però, che il principio di “adeguamento (dell’età pensionabile) alle speranze di vita” non porta la firma della Fornero ma era stato introdotto dalla riforma previdenziale del Ministro del Welfare, del governo di centrodestra, Maurizio Sacconi con l’aggravante che il ministro Sacconi spostando in avanti di un anno (dal momento della maturazione del diritto) l’accesso alla pensione, aveva già fortemente penalizzato coloro che erano usciti dalle imprese, con accordi congiunti tra azienda e lavoratore, percependo una buona uscita che permetteva alle aziende di licenziare a fronte di una somma versata ai lavoratori che copriva, però, solo una parte del salario annuo che avrebbero percepito se fossero rimasti in servizio.
Di fatto coloro che venivano messi in mobilità per tre anni, trascorsi i quali avrebbero percepito la pensione, si sono visti allungare il periodo di mobilità perdendo così sia lo stipendio che la pensione di un intero anno. Sono questi gli esodati, a chi è andata bene per un solo anno, ante litteram.
La legge Fornero innalzando da un giorno all’altro l’età pensionabile ha invece creato quel disastro sociale dei 350 mila esodati che si sono ritrovati senza stipendio e nell’impossibilità di essere considerati pensionati. Eccolo il vero guasto di quella legge.
Oggi tutti sanno che i vincoli di età per gli esodati targati Fornero sono in parte superati grazie alle otto salvaguardie che comunque, dai dati Inps, lascerebbero fuori ancora 17 mila lavoratori considerati ancora esodati e che dal 2012 sono costretti a vivere, se non si sono suicidati prima come purtroppo è avvenuto, in condizioni di estremo disagio sociale ed economico.
Nel 2018 i requisiti per l’accesso alla pensione sarebbero, dunque, gli stessi della riforma Sacconi ed il problema non è tanto quello dell’età quanto quello del fatto che le persone che oggi hanno dai 60 ai 65 anni probabilmente, nella stragrande maggioranza, non raggiungono i 42 anni e 10 mesi previsti dai requisiti contributivi e percepirebbero una pensione notevolmente decurtata rispetto a quella prevista prima delle riforme Sacconi/Fornero.
Oggi, invece, Salvini ritiene che abolendo la legge Fornero e riportando tutti ai famosi 35/40 anni di contribuzione e 60 anni di età per l’accesso si risolva il problema. Giorgia Meloni, più coerentemente e realisticamente, ha sempre parlato del fatto che “la legge Fornero non ha modificato il sistema pensionistico ha anticipato, per una serie di persone, il sistema pensionistico che vige per le altre” facendo riferimento appunto alla riforma Sacconi.
Il presidente Silvio Berlusconi, invece, parlando su Radio Capital ha dichiarato:”Con la Lega abbiamo parlato di come superare quegli aspetti della legge Fornero che, tra l’altro, sono già stati rivisti. Faremo un esame preciso ed elimineremo quegli aspetti che ci sembrano ingiusti. Non la aboliremo, interverremo dove e è giusto intervenire”.
Quindi il “capo” della coalizione, sposando la tesi di Giorgia Meloni, conferma che non ci sarà nessuna abrogazione della Fornero ma solo “l’eliminazione di quegli aspetti che ci sembrano ingiusti”.
Insomma per noi sarebbe facile dire che l’avevamo detto prima del vertice di domenica scorsa (leggi qui) ma ci limitiamo ad affermare che se la politica si basa sul ragionamento e non solo sugli slogan era facile prevedere quello che è poi stato scritto sul comunicato congiunto diramato al termine dell’incontro di Arcore tra i tre leader del centrodestra che parla di “revisione del sistema pensionistico cancellando gli effetti deleteri della Legge Fornero” e non di abrogazione.
Precisato questo dettaglio, non indifferente per capire cosa succederà nel caso di prevista vittoria del centrodestra il 4 marzo prossimo, ci domandiamo se per “aspetti che ci sembrano ingiusti” rientrano anche tutti quei 350 mila lavoratori che, chi più chi meno, hanno perso anni di salari e/o pensioni (circa 25/30 mila euro l’anno) grazie alla Fornero e se non sia il caso di allargare la platea di coloro che non possono certo rimanere fino a 67 anni a fare lavori usuranti.
Non ci nascondiamo dietro ad un dito e siamo certi di dire una ragionevole verità se affermiamo che ad oggi non riteniamo che, abolendo “sic et simpliciter” la legge Fornero, coloro che potrebbero andare in pensione a 60 anni o giù di li possano contare su una contribuzione sufficiente che garantisca loro un assegno pensionistico “competitivo” con il salario che, per chi il lavoro ce l’ha, percepiscono alla fine del mese.
La speranza è invece quella che si intervenga sulle pensioni d’oro perché, come ha più volte denunciato Giorgia Meloni, 170 mila pensionati costano 13 miliardi di euro l’anno a fronte degli 8 milioni di “normali pensionati” che costano 30 miliardi l’anno.
Questo è l’aspetto ingiusto di un sistema che permette al 2,1% dei pensionati di costare il 30% del costo complessivo delle pensioni erogate in Italia. Non si abbia paura di colpire quelle 8000, tra pensioni e vitalizi, che hanno un costo annuo altissimo che si aggira sul miliardo e trecentomila euro e si restituisca, invece, come ha chiesto la Corte Costituzionale, l’adeguamento al costo della vita anche alle pensioni che arrivano alle 2.500/3.000 euro nette al mese.
Siamo solo all’inizio della campagna elettorale e già vediamo e ascoltiamo che anche a sinistra si fa a gara con promesse che non hanno nulla di sensato e tante ne sentiremo ancora in questi quasi tre mesi.
La paura è che questa tornata elettorale la vinceranno quelli che non promettono, quelli che non appaiono, quelli che subiscono inermi, che sono poi quelli che non andranno a votare.
CREDO NON CI POSSA ESSERE MIGLIOR COMMENTO AL CONTENUTO DELL’ARTICOLO DEL RACCONTO DELL’AMICO SCRITTORE LIBERO TRONOCOZZO, CHE PUBBLICO QUI COL SUO PERMESSO.
UN RACCONTO SATIRICO CHE, NELLE POCHE BATTUTE SCAMBIATE TRA DUE AMICI – DIOGENE UN TIPO BISLACCO DALLA FACILE PROTESTA CONTRO TUTTO E TUTTI, DESTINATO PROBABILMENTE AD ESSERE TACITATO DALLA POLIZIA DEL PENSIERO, E L’AMICO, UN PERFETTO YES MAN DI SISTEMA, DI DESTRA O DI SINISTRA POCO IMPORTA – RIASSUME IN MANIERA ECCELLENTE LO STATUS QUAESTIONIS DELLA LEGGE FORNERO E DINTORNI E DELLA FALSA CONTRAPPOSIZIONE TRA I DUE SCHIERAMENTI POLITICANTI FOTOCOPIA PRONTI ALL’ABBUFFATA PROSSIMA VENTURA.
ALLA FACCIACCIA DEI TANTI UTILI IDIOTI CHE LI VOTERANNO.
“Io ho un amico d’intelligenza non brillante e neppure molto colto, un tipo semplice abituato a ragionare in modo antiquato e incapace di cogliere tutte le sfaccettature e le innovazioni della politica governativa, ragion per cui mi tocca sostenere con lui lunghe ed estenuanti discussioni, allo scopo di fargli intendere come stanno veramente le cose; anche se la sua ottusa caparbietà, unita ad un carattere aspro e scorbutico, scoraggerebbe chiunque meno paziente di me.
Giorni fa ad esempio Diogene – questo è il nome del mio amico, arcaico come le sue idee – se ne stava seduto sui gradini dell’osteria e vedendomi passare m’ha fatto cenno d’avvicinarmi. «Senti un po’» m’ha detto agitando il quaderno sbrindellato sul quale annota tutte le cose interessanti – o che lui ritiene tali – sentite in giro. «Com’è che giustifichi queste cose?». «Cosa?» gli ho risposto con un sorriso indulgente. «Cos’è che giustifico?». «La bugiarderia al potere!» ha affermato Diogene, famoso tra l’altro per l’uso frequente di termini inusitati. «Senti un po’ qua» ha continuato affondando il viso nel suo quadernaccio, giacché ci vede poco ma non porta occhiali. «Uno di quelli [con tale termine Diogene indica genericamente tutti i politici] ha detto che mai avrebbe governato senza passare per le elezioni e che se perdeva il referendum se ne sarebbe andato; ed invece sta ancora là; un altro tuonava contro la legge elettorale, ma poi ha cambiato mangiatoia [per “mangiatoie” Diogene intende i partiti politici] e la difende a spada tratta; una di quelle [“quelle” sono, naturalmente, le donne parlamentari] si affanna per salvare la banca di famiglia, quell’altra mente sul titolo di studio; un sacco di quelli [qui Diogene m’indica con l’indice la relativa nota, come per sottolinearne la veridicità] sostengono di voler abolire i vitalizi, ma la legge s’impantana nel paludoso ed immoto stagno della burocrazia [a Diogene piace usare similitudini poetiche]; e se andiamo al passato [continua Diogene sfogliando velocemente le pagine a ritroso] troviamo uno di quelli che prometteva meno tasse e lavoro per tutti, e uno di quelli secondo il quale saremmo diventati più ricchi con l’euro; ed io invece ho pagato un euro per questo quaderno, cioè circa duemila lire, mentre prima costava duecento lire» conclude piazzandomi sotto il naso il suo quaderno, dalla copertina ornata da vistose macchie d’olio e di vino.
«Ma tu devi capire che in campagna elettorale si fanno tante promesse, ma non sempre si verificano poi le condizioni oggettive per mantenerle; e bisogna pure fare i conti con l’ostracismo dell’opposizione… Si tratta solo delle sane regole della democrazia parlamentare…».
«E quella che ha fatto la legge per aumentare l’età pensionabile? Che mi dici di quella?», incalza Diogene, ormai incontenibile.
«Si è trattato di una necessità, dura ma indispensabile per non far fallire il “sistema Italia” e rispettare i parametri europei» cerco di spiegargli, paziente come al solito. «E non ricordi poi le amare lacrime versate dalla poverina al momento dell’annuncio?» aggiungo sperando di addolcirlo, perché so che è d’animo sensibile.
«Lacrime, lacrime… Se fai una cosa giusta non devi piangere, e se piangi giusta non è» sentenzia Diogene, affetto da una sorta di rigido manicheismo morale. «Ma dimmi una cosa: immagina che tu ed io abbiamo un contratto, nel quale sono indicate, come ogni contratto che si rispetti, tutte le clausole che entrambi c’impegniamo ad onorare. E’ giusto secondo te che uno di noi due agisca in contrasto con tali clausole?»
«Direi di no» affermo, cercando di capire dove voglia andare a parare.
«Bene» dice Diogene. «Io e lo Stato avevamo un contratto. C’era scritto che io m’impegnavo a pagare ogni mese una parte – una grossa parte – dei miei guadagni, fino al sessantesimo anno d’età. Io ho rispettato il contratto sempre, fino all’ultimo centesimo, anche se lo Stato non sempre ha fatto altrettanto; doveva infatti da parte sua garantirmi i servizi essenziali, ma sin da quando i miei figli andavano alla elementari ho dovuto contribuire all’acquisto della carta igienica per la scuola e, per il secondo figlio, sobbarcarmi dell’acquisto ex novo di libri che erano identici a quelli del primo figlio, a parte le illustrazioni in copertina; quando a mia moglie è stato diagnosticato un cancro ho dovuto provvedere presso le strutture private, perché gli indispensabili esami medici della mutua erano fissati per l’anno successivo; quando un committente non mi ha pagato il lavoro, oltre a rinunciare al mio compenso, essendo le spese legali insostenibili, ho dovuto pagare le tasse su soldi non incassati, avendo emesso regolare fattura. Ma tralasciamo tutto questo [qui Diogene, facendo nell’aria un vago gesto con la mano, sembra gloriarsi di una sua presunta superiorità morale] e tante altre cose. Ma perché venire meno sul punto più importante, ovvero il mio diritto alla pensione?».
«Te l’ho detto» cerco di fargli comprendere. «Dobbiamo fare dei sacrifici. Per il futuro dei nostri figli. Per garantire loro un futuro migliore».
«Ma tu lo sai che abbiamo una percentuale altissima di giovani disoccupati?» chiede Diogene. «Certo» gli dico. «Perché manca il lavoro». «Non manca il lavoro» afferma Diogene. «Di lavoro da fare in giro ce n’è tanto. Mancano i soldi per pagare il lavoro. Ed i soldi per pagare il lavoro mancano perché abbiamo ceduto la nostra sovranità. Dire che uno Stato non può perseguire i suoi scopi per mancanza di denaro è come dire che un ingegnere non può costruire strade per mancanza di chilometri, diceva un tale di nome Ezra Pound» continua Diogene, che ha sempre avuto un particolare debole per le citazioni.
«E secondo te mantenere gli anziani al lavoro favorisce l’occupazione giovanile?» mi chiede. «E la favorisce la deportazione di schiavi dal terzo mondo, da usare come massa di ricatto da parte del capitale per far accettare ai nostri giovani salari da fame?». «Il discorso è complesso» cerco di spiegargli.
«Il mondo è cambiato, c’è la globalizzazione, dobbiamo assecondare le logiche del mercato. Certo i problemi sono tanti, ma dobbiamo rigettare lo scontro sociale e forse convincerci una buona volta che c’è bisogno di più Europa». In effetti, non so esattamente cosa vuole dire l’ultima frase che ho appena pronunciato, ma l’ho sentita dire da qualcuno, mi è piaciuta e l’ho ridetta.
«Fa come diavolo ti pare» dichiara Diogene, che ha lo spirito del contestatore ma non è interessato a fare proseliti. «Per conto mio darò il voto solo a chi avrà tra i punti del proprio programma la riappropriazione della sovranità monetaria e l’abolizione dell’infame legge sulle pensioni. Quindi, probabilmente, non andrò a votare».
Vorrei spiegargli che il voto è un diritto-dovere del cittadino e che la disaffezione per le urne può avere come conseguenza la vittoria dei populisti o, peggio, di formazioni reazionarie. Ma ho molta fretta e non credo di potergli illustrare esaustivamente la questione in pochi minuti. Per cui, quando m’invita a bere un bicchiere di vino, rispondo: «No, mi dispiace, ma devo scappare… La prossima volta».
Alza le spalle, s’infila il suo quaderno bisunto sotto l’ascella e scompare nell’osteria. Che tipo! Un disadattato, un asociale, con orizzonti limitati e forse senza possibilità di redenzione. Peccato, però; in fondo mi è simpatico, nonostante le sue idee bizzarre. Mi affretto verso casa: stasera trasmettono una puntata speciale del Grande Fratello e non voglio assolutamente perdermela.”