LEONARDO, l’inutile ascesa di Ungaro, uno Jago capace solo di sussurrare complicazioni all’orecchio di Otello/Cingolani

22 luglio 2024

Periodo intenso per Leonardo anche a causa di un contesto segnato da enormi tensioni globali che portano il gigante della difesa italiana, fra i primi in Europa, a confrontarsi in un contesto competitivo mai visto dalla fine della guerra fredda.

La nostra difesa, dopo anni di soporifere riunioni passate con dirigenti tanto boriosi quanto confusi, torna a dialogare con l’industria nazionale con un senso di ritrovata sintonia sia per le sfide che attendono il Paese sia per le esigenze delle nostre Forze Armate. Una sintonia che tutti i gruppi industriali della difesa hanno nei confronti del paese di appartenenza, per via di quella elementare, necessaria quanto inscindibile fusione fra interessi nazionali e obiettivi di business.

E d’altra parte c’è la guerra e molti dei sistemi di difesa prodotti dalla nostra industria sono impiegati per proteggere i nostri militari, oltre che le loro missioni al servizio della Repubblica.

Sarà per questi motivi che l’Ad dell’ex-Finmeccanica, Roberto Cingolani, ha scelto Simone Ungaro come capo delle strategie del Gruppo? Un lavoro difficile che in passato ha avuto nomi pesanti, se pensiamo che lo stesso Alessandro Profumo, piuttosto nuovo nell’ambiente, si era portato dietro Enrico Savio, strappandolo al DIS dove lavorava niente poco di meno che come Vicedirettore vicario.

Simone Ungaro è invece una assoluta novità. Una vita spesa appiccicato a Cingolani durante i fasti dell’Istituto Italiano di Tecnologia; poi, vai a capire perché, il rapporto si interrompe e Ungaro si lancia in una startup sulla robotica medicale nata, guarda caso, proprio da una costola dell’istituto genovese.

Esperienze lontane anni luce (tanto per rimanere in tema di spazio) dal mondo delle multinazionali della Difesa, ma Cingolani è convinto e vuole con sé il suo migliore amico: “Ungaro l’innovatore”, come gli piace presentarsi. Arrivato in Leonardo prende la mega direzione Innovazione e Tecnologie, area che fu di Cingolani, voluto da Profumo che con lungimirante intuizione lo portò in azienda per scrostare le arrugginite tecnologie di Leonardo (chissà se se ne sarà pentito!?). Cingolani fu poi risucchiato dalla passione civica e con uno slalom da campione del mondo, finì a fare il ministro con Mario Draghi, nel governo dei migliori, passando da Grillo e girando le spalle a Renzi che lo aveva pure sponsorizzato agli esordi. Mica male per uno a cui non piacciono i politici.

Finora però, di nuovi prodotti e di strabilianti innovazioni da usare come leva competitiva se ne sono viste davvero pochine pochine. E più di qualcuno inizia a chiedersi quali siano i risultati raggiunti e soprattutto se per caso in azienda non serva una figura di più alto profilo, capace di dare quello slancio innovativo che è fermo ai tre anni precedenti. Si parla di intelligenza artificiale, super calcolo, prodotti di nuova generazione: roba da levare il sonno perfino ad Albert Einstein. Tuttavia, dopo nemmeno un anno di esperienza in Leonardo, Cingolani gli affida anche le strategie con il compito di definire le traiettorie verso il futuro di uno dei più grandi gruppi industriali della difesa europeo.

Come tutti, anche Ungaro ha le sue passioni. A lui piace stare dietro a Cingolani, accompagnarlo un po’ dappertutto raccontargli tutto quello che ha visto, sentito e soprattutto capito. Passare ore insieme a commentare tutto e tutti e ricordando i bei momenti vissuti insieme a Genova. Una cosa a metà fra un frate indovino e una guardia del corpo in grado di spiegare le trame che Cingolani non ha capito, ma guarda un po’, lui sì! Lo asseconda in tutto e lo incoraggia anche nelle scelte più curiose. Gli piace sussurrare al principe, ed evidentemente sa come farlo. Una sua parola e il rapporto di qualche top manager con il capo, inizia a scricchiolare.

Un po’ come quelli che vanno alle feste dove non si trovano a proprio agio e iniziano a criticare gli altri per darsi un tono, ma soprattutto per disegnarsi un ruolo. Preferisce i consulenti esterni al rapporto con i colleghi, perché almeno non lo contraddicono e sono tutti contenti di poter fantasticare con lui con costosi dossier. I maligni dicono che sia il suo modo per capire dove è finito e recuperare un po’ di terreno in un mondo a cui fino a qualche mese fa era totalmente estraneo.

Molti dirigenti non fanno più mistero di una crescente insofferenza dovuta a questa costante intermediazione “made in Ungaro” che ha l’effetto di parcellizzare ancora di più i processi, rendendoli scollegati dalla realtà e dalle esigenze aziendali. Rompere la squadra per assecondare la “sindrome del figlio unico” è il classico rischio che le aziende conoscono bene nelle dinamiche tra capo e collaboratori. E starebbe proprio ai CEO mediare e contenere queste bramosie, senza isolarsi nel mondo dei sogni e delle ambizioni irrealizzabili.