Meloni dice no: l’Italia scopre come bloccare l’Europa dall’interno

Meloni dice no: l’Italia scopre come bloccare l’Europa dall’interno

16 dicembre 2025

A prima vista sembrano tre dossier scollegati: asset russi, motori endotermici, Mercosur. In realtà raccontano la stessa storia. Giorgia Meloni ha iniziato a parlare a Bruxelles. E quando parla, dice no. Non per ideologia, ma perché in questi passaggi l’Italia è numericamente e politicamente decisiva. La vera domanda non è cosa stia bloccando Meloni, ma se questo atteggiamento sia contingente o strutturale.

Il terreno più sensibile è quello degli asset russi. Roma ha fatto filtrare un’irritazione crescente verso l’idea di usarli come garanzia per un “prestito per le riparazioni” destinato a tenere in piedi i conti ucraini. Formalmente un’operazione tecnica. Sostanzialmente una confisca mascherata. È vero: Meloni potrebbe essere scavalcata se Commissione e Paesi favorevoli forzassero la mano ricorrendo all’articolo 122. Ma sarebbe una torsione giuridica grave. Anche se va detto che già l’immobilizzazione degli asset è stata una forzatura, solo più silenziosa.

Qualcosa, però, si è mosso. Il documento finale del vertice di Berlino parla di asset immobilizzati per la ricostruzione e il risarcimento dei danni, ma evita accuratamente di citarli come fonte di finanziamento immediato o militare per Kiev. Come ha notato il Corriere della Sera, non è un dettaglio. È una correzione politica. E soprattutto è una formulazione compatibile con l’impostazione americana, non con il piano europeo di sequestrazione travestito da ingegneria finanziaria.

Ma Meloni non si è fermata lì. Sul bando delle auto a combustione al 2035, l’Italia è stata per anni una voce isolata. Ora la Commissione si appresta ad “rivedere” l’obiettivo. Non per illuminazione improvvisa, ma perché la realtà industriale è entrata a Bruxelles dalla porta di servizio. In questo caso Meloni non ha vinto una battaglia: ha semplicemente aspettato che gli altri arrivassero dove era già lei.

Poi c’è il Mercosur. Roma oscillava tra la tentazione di lasciar correre e l’allineamento con Parigi. Ieri ha scelto la seconda opzione. Se la posizione reggerà, l’accordo è di fatto morto. Francia e Italia non hanno formalmente una minoranza di blocco, ma ci vanno molto vicino. E a quel punto basta poco per far saltare il banco.

Perché sta succedendo tutto questo? Le spiegazioni possibili sono tre. La prima è la più banale: nessuna strategia, solo tattica. Meloni ondeggia, prende tempo, segue i dossier senza una visione complessiva. Non impossibile.

La seconda è politica interna. Le ultime elezioni regionali hanno mostrato che l’opposizione, se smette di dividersi, può diventare un problema. Se la rielezione non è più scontata, alzare il profilo europeo può essere un modo per consolidare consenso.

La terza è geopolitica. Il fattore Trump. Meloni è la leader europea più allineata alla nuova amministrazione americana. Una bozza recente della strategia di sicurezza USA cita esplicitamente l’Italia come Paese da “separare” dal resto dell’UE. Obiettivo ambizioso, forse irrealistico. Ma il punto non è uscire dall’Unione. È avere un alleato esterno abbastanza forte da rendere credibile l’ostruzione dall’interno.

Meloni non può smontare l’Europa. Ma può incepparla. E Bruxelles se ne sta finalmente accorgendo.