Militari assolti vanno reintegrati, il sindacato: “Cambiare la legge”

Emblematico è stato il caso del militare Francesco Raiola: accusato di spaccio di droga nel 2011 è stato prosciolto dalle accuse solo nel 2015. In mezzo: battaglie legali, carcere, lacrime e fango. E una carriera stroncata. Solo nel 2018, infatti, è stato reintegrato in servizio.

La storia di Raiola ha fatto sì che fosse inserito un articolo alla legge sul riordino delle carriere. Articolo che prevede la riammissione in servizio “a domanda, dei volontari in ferma prefissata quadriennale ovvero in rafferma biennale esclusi dalle procedure di immissione nei ruoli dei volontari in servizio permanente emanate negli anni dal 2010 al 2016 compreso in quanto sottoposti a procedimento penale, nei casi in cui successivamente sia stata disposta l’archiviazione o il procedimento penale si sia concluso con sentenza irrevocabile che dichiari che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso, o che il fatto non costituisca reato, possono presentare la domanda per la riammissione”.

Ma questo non è sufficiente. Lo spiega Salvatore Rullo, presidente del sindacato Militare interforze (SIULM) che fa un appello alla politica: «Quell’articolo va urgentemente e doverosamente modificato in quanto interessa solo pochi militari e va riscritto in modo che tutti i militari e i carabinieri destituiti dal servizio, nel caso abbiano sentenza che dichiari che il fatto non sussiste o non costituisca reato, devono avere la possibilità di essere reintegrati in servizio. Sarebbe un atto dovuto di giustizia a fronte di frettolosi provvedimenti disciplinari che possono rovinare vita e famiglie di militari».

E sul sito del SIULM spiega che i casi come quelli di Raiola, purtroppo, non sono così rari. Come ad esempio la storia di un vicebrigadiere dei Carabinieri, rinviato a giudizio insieme ad altri quattro commilitoni per peculato, associazione a delinquere e falso in atto pubblico che è stato condannato, in primo grado, per il reato di peculato continuato; assolto dal reato di associazione per delinquere, mentre per il reato di falso in atto pubblico era intervenuta la prescrizione. Impugnata la sentenza di condanna era poi stato assolto in ultimo grado perché “il fatto non sussiste”. Dunque, di fatto, nessuna condanna.

Due dei quattro commilitoni, invece, hanno patteggiato la pena a due anni di reclusione. E, sul piano disciplinare, sono stati sospesi dal servizio per un massimo 12 mesi. Nei confronti del vicebrigadiere, invece, è stata avviata un’inchiesta disciplinare per “falso in atto pubblico”. Risultato? Perdita dei gradi e cessazione dal servizio permanente. Insomma, due pesi e due misure. Ragionevole avere qualche dubbio su come sia stata condotta l’inchiesta.

Ad esprimersi sul caso era stato chiamato il ministro della Difesa Guerini che, però, non si è ancora degnato di rispondere. «Mi permetto, sommessamente e modestamente, di consigliare al Ministro della Difesa di occuparsi del caso oltre che, ogni tanto, “di uscire dal castello” per parlare con i militari ed anche con i neo costituiti sindacati militari» sottolinea Rullo. Che è categorico: «Tutti i militari assolti con formula piena devono essere reintegrati in servizio».

 

 

 

 

 

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